Ne “L’ultima stazione” (Bompiani) di Jay Parini, Tolstoj scrive alla moglie “La mia partenza ti addolorerà. (…) ti prego di capire e di credere che non posso fare altrimenti. La mia condizione in questa casa è diventata intollerabile”.
Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre del 1910 il grande scrittore russo all’età di ottantadue anni fuggì dall’amata tenuta di Jasnaja Poliana abbandonando la moglie dopo quarantotto anni di matrimonio.
Prese questa decisione dopo aver visto Sof’ja rovistare nel suo studio. Il conflitto tra i due coniugi ormai era diventato insanabile. Tolstoj viveva circondato da un gruppo di seguaci che seguivano con fervore le sue dottrine umaniste che lui aveva sviluppato nel romanzo Resurrezione. Questa corrente di pensiero pacifista gli era costata nel 1901 la scomunica da parte del Santo Sinodo e aveva attirato presso la sua tenuta molte persone, sia dalla Russia sia dall’estero, che ammiravano il suo pensiero. Jasnaja Poliana era diventata quindi meta continua di pellegrinaggio e Tolstoj apparve come un conte/contadino che si era spogliato dei beni materiali. Capo di questa comunità di adepti era l’allievo Chertkov che subito entrò in conflitto con Sof’ja. Egli aveva convinto il maestro a redigere un nuovo testamento nel quale i diritti d’autore erano conferiti al popolo russo.
Questo non poteva essere tollerato da parte della contessa che deteneva i diritti su tutto quello che lo scrittore aveva pubblicato prima del 1881, Guerra e Pace e Anna Karenina per citare le opere più celebri. Dopo mesi di crisi di gelosia da parte della moglie e di liti furiose, il conte sotto falso nome insieme al suo medico e amico Makovitskij prima si diresse viaggiando su di un treno di terza classe al monastero di Optina, poi nel convento di Samardino dove viveva una sorella monaca ortodossa.
Qui fu raggiunto dalla figlia Sasa accompagnata da una sua amica. I titoli dei giornali già si occupavano della sua fuga “TOLSTOJ ABBANDONA LA SUA CASA! DESTINAZIONE SCONOSCIUTA!”. Durante il viaggio verso la Crimea lo scrittore si ammalò di polmonite e fu costretto a fermarsi ad Astapovo “sembrava che fossimo arrivati alla fine del mondo”, Tolstoj fu accolto “nella casetta con un tetto di lamiera” del capostazione Orozin. Ben presto la notizia della malattia e dell’aggravarsi delle condizioni di salute di Tolstoj fece il giro della Russia, accorsero al suo capezzale i figli Sergej e Tatiana e Chertkov. Sof’ja salì su di un treno speciale ma non fu ammessa al suo capezzale. I giornalisti assistettero a questa prima morte in diretta della storia mentre la moglie di Tolstoj fu costretta a spiare il marito dalla finestra della casa del capostazione. Solo alle cinque del mattino del 7 novembre Sof’ja poté entrare e vedere il morente che giaceva ormai incosciente. A un quarto alle sei il più grande scrittore russo del XIX Secolo morì. “Mentre la luce dell’alba filtrava attraverso le tende, capii che era tutto finito”.
The last station ricostruisce l’ultimo anno della vita di Tolstoj attraverso le testimonianze delle persone che vissero accanto allo scrittore. Tra verità e finzione questo appassionante romanzo storico presenta le figure di Sof’ja Andreevna la quale ha ricopiato Guerra e Pace “ero l’unica in grado di leggere la sua grafia”, la figlia Aleksandra Sasa che “nella stanza della Remington” fa da segretaria al padre, arrivano anche trenta/quaranta lettere al giorno. “Non mi sposerò mai. Perché mai la figlia di Lev Tolstoj dovrebbe desiderare di servire un altro uomo?”. Il segretario Valentin Bulgakov che ammirava lo studio dello scrittore “mi misi a sedere sulla sedia di Tolstoj. Mi sentii come se avessi montato un possente cavallo… ”, il dottor Makovcky che detestava Sof’ja “la sua avidità è leggendaria” e Chertkov l’acerrimo nemico della Tolstaja. Appaiono anche le lettere di L. N. (Tolstoj), tra le quali quella inviata a Gandhi “man mano che invecchio, e adesso che sento con chiarezza l’avvicinarsi della morte, desidero raccontare agli altri le cose che mi commuovono in particolare”. È un caleidoscopio di voci discordanti tra loro che l’autore ha tratto leggendo i diari dei vari personaggi di questa tragedia russa. Su tutte domina la voce, il lamento di Sof’ja i suoi ricordi che spaziano dal giorno del primo incontro con Levocka “ero sottile, bella come un narciso” al matrimonio celebrato il 23 settembre 1862 lei diciottenne, lui trentaquattrenne. “Di tutte le donne nella sua vita, solo io sono rimasta”.
Nel romanzo di Tolstoj La morte di Ivan ll’ic pubblicato nel 1886, un uomo si trova di fronte all’inevitabilità della morte “Dov’era? Quale morte? Non aveva alcuna paura, perché non c’era alcuna morte. Al suo posto, la luce”. Sembrano le prove generali della morte dell’autore un quarto di secolo prima. Chissà se lo scrittore quando scrisse all’inizio di Anna Karenina “tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” immaginava ciò che il destino aveva in serbo per lui. Uomo difficile, egoista, non fu facile per Sof’ja vivergli accanto. Ne I Diari 1862 – 1910 (La Tartaruga 2010) che la donna scrisse per tutta la durata del matrimonio è registrato il loro contrastato rapporto: tredici figli cresciuti da sola, moglie devota, curatrice dei suoi testi, Guerra e Pace fu riscritto dalla donna per sei volte. Fu un legame forte fatto di passione e gelosia, risentimento e frustrazione, non potevano fare l’uno a meno dell’altra. “… in cuor suo gli piaceva vedersi come uno dei nobili muziki che tanto ammirava”. Quando Tolstoj si convertì a un’esistenza fatta di povertà, lei donna pratica temette che la famiglia potesse subirne le conseguenze.
In una mattinata freddissima con una neve gelida Lev Tolstoj ritornò a casa per l’ultima volta. La bara era semplice di abete rosso e i suoi contadini piangevano mentre gettano fiori davanti alla cassa trasportata dal treno al carro dai quattro figli dello scrittore. La lenta processione si avviò verso Jasnaja Poljana e la bara fu deposta davanti alla porta dello studio teatro della vena creativa di Tolstoj. Lo scrittore aveva chiesto di essere sepolto sul margine di un dirupo nel bosco di Zaseka. Mentre i fotografi scattavano le foto da ogni parte e i cineoperatori giravano riprese dappertutto la neve scendeva silenziosa. Un contadino pronunciò un sermone “per l’uomo che aveva cambiato le nostre vite”.
“Camminavamo esaltati dalle mille voci che cantavano, uomini e donne che avevano amato Tolstoj come lo avevamo amato noi, che capivano, come lo aveva capito lui, che la morte era solo una delle molte, nobili, trasformazioni della vita e che l’unica cosa che contava al mondo era l’amore”.
Dal romanzo L’ultima stazione il regista Michael Hoffman ha tratto il film omonimo protagonisti Christopher Plummer e Helen Mirren.
Jay Parini è nato nel 1948 in Pennsylvania. Romanziere e poeta. Docente di lingua inglese al Middlebury College nel Vermont. Ha scritto sei romanzi tra i quali Benjamin’s Crossing, The apprentice lover. Tra le sue opere di poesia The art of subtraction: new and selected poems. Oltre alle biografie di John Steinbeck, Robert Frost e William Faulkner è autore di un volume che raccoglie i suoi saggi su temi letterari e politici e di The Art of Teaching. Ha curato The Oxford Enciclopedia of American Literature. Collabora a The Guardian e a altri giornali. Dal 2005 è l’agente letterario esclusivo di Gore Vidal.
Autore: Jay Parini
Titolo: L’ultima stazione
Editore: Bompiani
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 19,50 euro
Pagine: 396