“A Cantalupo in Sabina” (Edizioni Sabinae) di Mario Verdone: “Hai un verde tutto tuo, Sabina. La barriera fitta delle siepi, il pennello nerastro del cipresso, e la chioma folta dell’ippocastano; e foglie d’ulivo il fogliame giallastro del gazebo dove fiorisce il glicine”. Del libro, uscito postumo, è stato proprio l’autore a seguirne la redazione fin dal principio. “Ho scritto tanto nella mia vita, ma certo mi piacerebbe raccogliere i versi e le memorie che ho dedicato a quel luogo che da oltre quarant’anni mi regala silenzi e tramonti”.
Mario Verdone Professore di Storia e Critica dei film, critico d’arte, saggista, scrittore e poeta, nella quiete operosa della casa delle memorie in terra Sabina, amava trascorrere il tempo scrivendo versi e riflessioni che gli suggeriva la contemplazione della natura selvaggia e semplice che lo circondava. Citiamo ad esempio ”Qui nella selva Orazio cantò al lupo… ”, “Tutto, qui, partecipa della gentilezza se non dell’umiltà… ”. Colpisce la minuta descrizione dei piccoli abitanti del giardino: “Non ho ignorato nel terreno scoperto, il riccio, il rospo e la lucertola; nell’aria tra le fronde, passeri e fringuelli”. Forse l’osservazione della natura faceva tornare in mente a Verdone la sua terra d’origine: la Toscana e le colline senesi, dal profilo morbido e ondulato. Fino agli ultimi anni di vita l’autore continuò a scrivere liriche e brevi racconti. Descrisse l’ora del tramonto a Cantalupo: “V’era in cielo una palla rossa, nel tardo pomeriggio che scendeva lentamente verso le colline per calarsi, più lontano nel mare”, una pianta che soffre il freddo nella stagione invernale “Un ramo d’inverno non dà segni d’amore… Eppure in cima è spuntato un boccio rosso e lascia aperta ogni speranza”, il Monte Soratte che si erge in lontananza solenne e maestoso “Il Soratte è velato”.
Un libro piccolo e prezioso “di un uomo amato perché sincero” come lo definisce l’editore Simone Casavecchia. Versi semplici e dolci che rivelano un aspetto meno conosciuto, intimo del grande studioso da sempre appassionato di tutte le forme di spettacolo.
“Lo scorso 8 febbraio in Campidoglio è avvenuta la presentazione del volume nella Sala della Protomoteca, presenti i figli Carlo, Luca e Silvia, lo scrittore e poeta Elio Pecora, Gian Luigi Rondi Presidente del Festival Internazionale del Film di Roma, Giordano Bruno Guerri scrittore e Presidente della Fondazione Il Vittoriale e Giuliano Compagno in rappresentanza del Comune di Roma. Un omaggio fatto alla memoria di un grande esponente della cultura italiana: Mario Verdone, romano d’adozione che amava moltissimo la città nella quale viveva ed era un cultore della poesia del Belli. Carlo Verdone a un anno dalla scomparsa del padre lo ricorda attraverso le poesie e le intime riflessioni del padre Mario.”
“Il titolo di questa piccola raccolta ha due significati. Richiama al luogo prediletto dove ho passato per molti anni frammenti di primavera e di estate; ma è anche l’affettuosa dedica, in sintesi, a Cantalupo, il paese sabino che mi ha suggerito versi, soprattutto nei tramonti goduti dalla Pratarina”.
Esiste un particolare motivo per il quale la famiglia Verdone scelse Cantalupo in Sabina come luogo di vacanza?
“Si certo. Mia madre Rossana era spesso invitata dalla sua migliore amica, la baronessa Gabriella Camuccini e dalla sua famiglia, a Cantalupo in Sabina. Lì loro possedevano un grande palazzo, dove trascorrevano buona parte del periodo degli studi universitari e le vacanze estive. Mia madre era spesso loro ospite e da alcune sue lettere abbiamo scoperto che, all’epoca del suo fidanzamento con mio padre Mario, la loro relazione si consolidò proprio in quel luogo della Sabina. Un giorno una zia della baronessa, Gabriella vendette a miei genitori un terreno e lasciò in eredità a mia madre una piccola chiesa del 600. Ecco perché Cantalupo fu un luogo molto amato dai miei che decisero di costruirci una bella casa. Ora siamo noi fratelli a occuparci di mantenere la memoria di quella casa e della chiesina dove fra l’altro io mi ci sono sposato nell’80.”
Quali sono i temi dominanti delle liriche di Suo padre?
“La contemplazione della Natura da parte di un uomo anziano e saggio che vede avvicinarsi la fine dei suoi giorni. Ma in lui c’è molta serenità, anche se una patina di malinconia per il tempo andato è sempre presente. In quei versi e in quelle memorie mio padre sembra tornare “piccolo”. Sembra guardare tutto con molto stupore e innocenza. Ma è di una profondità stupefacente. E commovente direi. È un libro molto semplice alla lettura, ma pieno di considerazioni filosofiche sul senso della nostra vita.”
Possiamo affermare che le poesie rappresentano le memorie della Sua famiglia?
“Fino a un certo punto. Perché non cita quasi mai la sua famiglia. Ma lascia lo spazio a un confronto tra lui e la natura nei suoi aspetti pieni di colori, di silenzi interrotti dal vento. È una confessione personale, o una contemplazione intima. Spesso ricorda sua madre Assunta. Molto spesso la sua Siena dalla quale non si è mai staccato.”
Ci lascia un ricordo legato alla Pratarina?
“Per noi figli la Pratarina era il luogo del “gioco”, degli incontri con i primi amori, degli appuntamenti con altri ragazzi. Ciascuno di noi fratelli ha un ricordo molto poetico di quella spianata. In quella spianata su una collina, chiamata Pratarina, un giorno mio fratello Luca ed io ci inventammo “le Olimpiadi sabine”. Invitavamo altri ragazzi del Paese a gare di atletica (lancio della canna, salto in lungo e in alto, lancio del masso) e a gare ciclistiche. Era chiaro che la Pratarina era il punto di partenza e di arrivo della lunga gara in bici. Mia madre fece fare da un orafo varie medaglie per le varie discipline: quella d’oro, quella d’argento e quella di bronzo. Dove c’erano di mezzo le braccia, vincevo io. Quando si trattava di gambe mio fratello Luca. Abbiamo ancora i filmetti in 8 mm di quegli anni meravigliosi. E mia sorella, più piccola di noi, aveva stretto amicizia con una sua amichetta, Rita, che anche lei aveva un casale rurale in quel luogo. E si divertivano a fare il pane, a dar da mangiare ai buoi, ai maiali alle galline oltre a pulire i fagiolini e a sbucciare le patate. Ci divertivamo con poco. Ma eravamo felici.”
Un uomo come Mario Verdone che eredità ha lasciato nel mondo della cultura?
“Ha studiato tutto ciò che nell’Arte aveva “talento”. Ma spesso i suoi interessi si rivolgevano ad artisti ingiustamente non celebrati per la loro grandezza, come ad esempio molti futuristi, molti avanguardisti, molti scrittori, poeti e registi. Grazie a mio padre molti di essi ebbero una nuova luce verso il pubblico e verso la critica. Ha cercato sempre il “non ovvio” nella scoperta di molti talenti. La cosa più rilevante che ha fatto è stata quella di creare la Cattedra di “Storia e Critica del Film” all’Università di Roma. Se esiste questa materia, lo dobbiamo a lui. È stato non solo un grande intellettuale ma, per noi figli, un uomo da ammirare per la sua disciplina, onestà e immensa dignità. Un grande educatore.”
Mario Verdone è nato ad Alessandria il 27 luglio 1917 ed è morto a Roma il 26 giugno 2009. Dopo la morte del padre Oreste caduto sul San Gabriele durante la I Guerra Mondiale, fu portato dalla madre a Siena nella casa dei nonni. Nel ’40 si laureò in Giurisprudenza presso l’Università di Siena, Relatore il Professor Norberto Bobbio e nel ’42 in Scienze Politiche. Dagli anni Cinquanta intraprese la carriera universitaria con corsi liberi di filmologia in vari atenei e in sinergia con il lavoro del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Nel ’65 per primo conseguì l’innovativa Libera Docenza di Storia e Critica dei film. Con Roberto Rossellini fu anche direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia. Critico cinematografico tra i più bravi e preparati.
Autore: Mario Verdone
Titolo: A Cantalupo in Sabina. Versi e memorie
Editore: Edizioni Sabinae
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 12 euro
Pagine: 118