Ne “Le rondini di Montecassino” (Guanda, 2010) di Helena Janeczek, l’ultima frase che il padre disse a John Jacko Williams prima che il ragazzo si arruolasse nella Guardia Nazionale nel 1939 fu “God bless you son”. Il 19enne texano Jacko dopo l’addestramento militare in vari campi della nazione e in Algeria sbarcò nel Vecchio Continente, in Italia. Era la fine dell’estate del ’43 “torneremo presto con la vittoria in tasca. Non preoccupatevi di me, sappiate che sto facendo il mio dovere e che lo faccio con tutto il cuore”.
Il giovane sergente era impaziente di raggiungere il suo Reggimento, il 141° della 36esima Divisione Texas, quindi nel gennaio ’44 fu inviato in Ciociaria nella valle del Liri “punto cruciale per sfondare la Linea Gotica, l’ultima linea di difesa che ormai si frapponeva fra la loro avanzata e Roma”. L’Italia appariva ai soldati come “fredda, stretta e scura”, non certamente la sunny Italy che avevano immaginato. In ricognizione sul monte Trocchio quartier generale americano, gli yankees osservarono i nemici, i tedeschi che si trovavano nella valle circostante. Ciò che colpiva i loro occhi era il maestoso e ieratico edificio in cima alla montagna di fronte a loro. “L’abbazia di Montecassino spuntava dalla roccia nella sua forma rettangolare così perfetta e grande” che sembrava inespugnabile.
La prima battaglia di Montecassino stava per iniziare agli ordini del Generale Mark Wayne Clark comandante della V Armata americana. Durante la traversata del fiume Rapido, i tedeschi lì appostati falcidiarono i soldati americani: 48 ore di combattimenti, 1700 tra morti, feriti e dispersi tra le truppe USA. Alla seconda battaglia nella quale fu bombardato il monastero di Montecassino, prese parte il ventunenne Charles Maui Hira del 28° battaglione maori proveniente dalla Nuova Zelanda. “Abbiamo visto il mondo” ripeteva spesso il reduce al nipote Rapata Ihipa Sullivan e il ragazzo attraversò più continenti per assistere insieme ai vecchi commilitoni del nonno alle celebrazioni per il sessantesimo anniversario della storica battaglia.
Il nonno era morto da poco ma la sua lezione di vita sarà tramandata di generazione in generazione.
Helena Janeczek in questo romanzo, memoria storica e familiare racconta le storie dei soldati che combatterono in quei luoghi impervi della Ciociaria. Essi provenivano da nazioni e razze diverse, erano accomunati da un alto senso del dovere, sapevano che il destino dell’Europa e del mondo passava attraverso i loro fucili e i loro comportamenti. Americani, britannici, indiani, nepalesi, marocchini, algerini e polacchi come l’ebreo – polacco Milek “Emilio” del II Corpo d’Armata del Generale Anders, il mondo si trovava di fronte all’abbazia di Montecassino. In un’area di 20 chilometri dal gennaio al maggio del ’44 furono combattute quattro sanguinose battaglie, la vittoria alleata avrebbe consentito di ricollegarsi alle truppe confinate da mesi nella zona di Anzio. Al centro della furiosa guerra si ergeva il monastero benedettino di Montecassino, non più oasi di pace e preghiera.
La mattina del 15 febbraio 142 bombardieri pesanti e 114 bombardieri medi alleati rasero al suolo l’abbazia. Si credeva erroneamente che dentro le mura ci fossero reparti tedeschi. Dentro il monastero perirono invece molti civili che vi avevano cercato riparo, alcuni soldati tedeschi e quaranta soldati della divisione indiana. “Amici italiani, ATTENZIONE! … siamo costretti a puntare le nostre armi contro il Monastero … andatevene subito”. Così recitavano i tanti volantini a firma della V Armata caduti dal cielo e sparati dai cannoni alleati.
“La guerra su di me ha un fascino orrendo e attuale” ha dichiarato la scrittrice. Ritratto di molte storie come l’avventura dei ragazzi Edoardo e Anand che vanno a Cassino per conoscere i luoghi del conflitto e cronaca di quello che accadde. “C’è persino Martha Gellhorn, all’epoca signora Hemingway” nota corrispondente di guerra, la quale acclamava entusiasta i bombardieri “in formazione simmetrica perfetta”. Ben descritte le angosce del generale Clark il quale “sapeva che l’avrebbero fatto passare come un barbaro arrivato per distruggere il patrimonio artistico e spirituale d’Europa”. Dove erano le rondini simbolo di rinascita mentre il mondo era in fiamme? Volavano alla fine dell’ultima decisiva battaglia chiamata Operazione Diadem quando un soldato polacco appartenente al 12° reggimento lancieri innalzò la bandiera della sua nazione sulle rovine del Monastero?
La cattura di Cassino permise alle divisioni statunitensi e britanniche di proseguire l’avanzata vittoriosa verso Roma, prima città europea a essere liberata dalle truppe dell’Asse il 4 giugno del ’44. Nella fertile valle del Liri furono lasciati sul campo 18mila soldati americani, 14mila inglesi e 11mila tedeschi. Nel romanzo La ciociara di Alberto Moravia è descritto con veritiera crudezza quello che accadde alla fine della battaglia, cioè odiosi episodi di stupri di massa perpetrati dai Goumiers i soldati marocchini e algerini che volevano festeggiare in tal modo la vittoria. Ancora una volta la popolazione inerme e innocente pagava uno scotto altissimo al massacro provocato dalla guerra.
Il libro è dedicato al padre dell’autrice e a tutti i soldati morti lontano dalla propria patria, giovane carne da macello, migranti di ieri.
“La guerra è padre/madre di tutte le cose e di tutte regina”. È la frase del filosofo greco Eraclito di Efeso posta simbolicamente all’inizio del volume.
Helena Janeczek è nata nel 1964 a Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca. Si è trasferita in Italia nel 1983. Ha pubblicato una raccolta di poesie in tedesco e i romanzi Lezioni di tenebra (Mondadori 1997) Premio Bagutta Opera Prima e Cibo (Mondadori 2002). È redattrice di Nuovi Argomenti e di Nazione Indiana. Vive a Gallarate e lavora a Milano.
Autore: Helena Janeczek
Titolo: Le rondini di Montecassino
Editore: Guanda
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 18 euro
Pagine: 362