Quattro uomini on the road, avanti e indietro nello spazio e nel tempo. Luca Sacchieri, autore romano, ci porta alla scoperta del suo nuovo romanzo “Boing Generation” (Edizioni della Sera, 2010).
“Boing Generation“, un titolo interessate, sfizioso e al tempo “serioso”. Da cosa nasce?
“Nasce dalla necessità di trovare, con un paio di parole d’impatto, il timbro per una generazione che, trovandosi direttamente coinvolta in ciò che vive, fa fatica a guardarsi “indietro” per analizzarsi. La società in cui viviamo tenta di imboccarti, tenta di ridurre al minimo la tua partecipazione, ti tiene a bada (o alla larga) con fendenti ben assestati, perché vanno a colpire il tuo intimo, giocano a piacere con le tue (in)sicurezze, psicologiche o materiali che siano. Creano competizione insana che ti distrae e ti logora. “Boing” è un suono gommoso, per chi tenta di farsi rimbalzare addosso quei fendenti, magari riducendo al minimo indispensabile i contatti emotivi con mondo, o cercando sicurezze effimere. Ma “Boing” è anche un suono molle, rallentato, appesantito, di chi sente aumentare la frustrazione di non riuscire a correre alla stessa velocità del mondo intorno a lui: dalla rapida affermazione dei partecipanti dei reality, ai messaggi sulla rete, alle notizie in tempo reale dal tuo lontano anfratto del mondo. “Boing” è ciò che mi sembrava ci fosse di più in contrasto con il dirompente “Beat” della generazione dei miei genitori, e con tutti i suoi valori (a cui non mi oppongo, ma che non riesco a trasferire nel 2010). “Boing” è, anche e soprattutto, l’agilità di un salto di canguro, che gira con il suo marsupio quando va in giro (o scappa). E il marsupio è parte di sé, così come – lo scopriranno strada facendo i protagonisti – i loro problemi sono inscindibili da loro stessi. Nonostante il rabbioso, istintivo allontanamento fisico dalle loro vite quotidiane.”
A chi si rivolge la “Boing Generation”?
“La “Boing Generation” si rivolge a chi non riesce ad incastrarsi nel sistema (fatto di artificiali giochi di specchi) del “chi sembra il più forte, allora è il più forte”. Perché esistono tanti tipi di forze, spesso poco appariscenti, ma di cui andar fieri. Ma la società autoalimenta un meccanismo che privilegia solo alcune di queste forze, che spesso sono quelle più vuote, ma d’impatto. Io non sono un bigotto che vive di slogan disillusi come “Eh, questa società odierna ormai…”, “Eh, questa generazione odierna ormai…”. Anzi, “Boing Generation” è il mio modo di raccontare un lento (casuale? macchinoso?) processo di consapevolezza e di accettazione di se stessi e di ciò che si è. E non di ciò che le pressioni esterne (televisive, economiche, malavitose ecc.) ti dicono di essere.”
Che rapporto c’è tra la “beat” generation e la “boing” generation?
“Io considero la “Beat Generation” un dato di fatto, qualcosa che c’è stato e – proprio perché è passato – possiamo studiarlo e dire “La Beat Generation è stata questo e questo e quest’altro…”. Riconosciamo tutti il clima politico e sociale di allora, da cui quelli della “Beat generation” si divincolavano con più ottimismo, alla ricerca di qualcos’altro. E quando si scappa con l’entusiasmo della ricerca del nuovo, non è mai una vera fuga, ma un viaggio. Nella “Boing Generation”, secondo me, c’è molta più disillusione. I meccanismi repressivi (parola troppo grossa?) si sono affinati, non si sono limitati alla moneta sonante, al terrore della povertà. Si sono fatti più psicologici:”se ti senti inadatto è perché sei sbagliato tu, non il sistema che ti sta intorno”. Queste idee iniziano ad insinuarsi dentro di te in modo indolore, e tu te ne accorgi quando ormai hanno già messo radici. La fuga della “Boing Generation”, in confronto a quella della “Beat”, è un qualcosa che – secondo me – ha aspetti più istintivi e meno romantici: non sto andando a cercare niente di nuovo, sto solo (in quanto preda) tentando di mettere più distanza tra me e ciò che (credo) sta per azzannarmi alle spalle. Ma qui, purtroppo, non si tratta di leoni affamati, ma di parassiti interni che già si nutrono di te. E quindi te li porti dietro, ovunque tu vada.
La consapevolezza e l’accettazione di se stessi è la vera scoperta, ma quanta fatica. E non tutti ce la fanno.”
Entriamo nel cuore del romanzo. “Boing Generation” è un libro che parla di partenze, di fughe, di realtà e di sogno. Cosa animai quattro protagonisti della storia?
“Usando le risposte precedenti come premessa, la società ha creato questi quattro “canguri”: Pietro è un uomo che vive del suo equilibrio fisico e mentale, Rosco delle sue romantiche emozioni, Davor Crema della sua passione per la musica. Giusto “il narratore” (personaggio raccontato in prima persona) sembra più che altro una pecora nera, in quel gruppo. O più semplicemente un rompipalle represso. Così è come appaiono i protagonisti di “Boing Generation”. Come sono davvero è tutta un’altra storia, fortunatamente raccontata nello stesso libro.
Il lettore avrà modo di conoscerli davvero, di capire di quale fragile sostanza sia fatta in realtà la loro crosta. E Ognuno dei protagonisti dovrà ad un certo punto guardarsi allo specchio – chi più chi meno letteralmente – e non riuscire più a sopportare ciò che il riflesso gli rinfaccia. E il gioco di specchi che autoalimenta la società, causerà poi proprio la fuga da quella stessa società, più che altro per accumulo di frustrazione.”
Il sottotitolo del libro è accattivante e non può sfuggire: la storia dei canguri senza marsupio. Perché questa scelta curiosa? Qual è l’avventura che aspetta il lettore?
“Della metafora canguresca fatta di “Boing” e marsupio (da lasciare a casa, inutilmente) ho già detto qualcosa. Ciò che aspetta il lettore è la storia di un viaggio, che ha molto poco del “viaggio per ampliare i propri orizzonti mentali”. Anzi. Queste sono quattro persone che non stanno andando da nessuna parte, che conoscono soltanto ciò da cui se ne stanno andando e che non si aspettano di trovare nessuna rivelazione per strada. Ma che, al tempo stesso, (prima inconsapevolmente, poi sempre più coscientemente) man mano che si allontaneranno da quei “loro-stessi-lasciati-a-casa”, non faranno altro che riavvicinarsi a ciò che erano stati prima di diventare ciò che sono adesso. E se riuscite a leggerlo ad alta voce senza farvi venire crampi alla lingua, vi offro da bere.
Come in tutto questo ci si incastrino sesso, risse, droga, tentativi di suicidio, inseguimenti e concerti, ve lo lascio scoprire per conto vostro.”
Tre aggettivi per definire la “Boing Generation” del suo racconto.
“Impaurita, orgogliosa e, in fin dei conti, combattiva. Boing!”
Luca Sacchieri è nato a Roma nel 1982. Dopo la Maturità Classica, si è laureato in Scienze della Comunicazione. Ha pubblicato due romanzi Tributo ad un ragazzo che come me (Proposte Editoriali, 2003), C.H.A.T. – Come Ho Amate Te (Fermento, 2004) e tre racconti La linea gialla (in “Parole in corsa V°, Full Colour Sound, 2007), Bricolage (in “Tutta la mia città”, Giulio Perrone, 2008), Consigli per gli acquisti (in “Dal manoscritto al libro”, Giulio Perrone, 2008). Luca è librofilo, fumettofilo, rockofilo, calciofilo, internetofilo, cinefilo e cinofilo, ma fondamentalmente si annoia.
Autore: Luca Sacchieri
Titolo: Boing Generation. La storia dei canguri senza marsupio
Editore: Edizioni della Sera
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 12 euro
Pagine: 264
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