Maurizio De Giovanni, scrittore napoletano, è il futuro del noir italiano. Intelligente, raffinato, diretto nella scrittura e nella narrazione, è riuscito, con il suo Commissario Ricciardi, a costruirsi un itinerario stilistico da percorrere e rispettare, che pianta le radici nella sua terra – in una Napoli violentata, sventrata ma che conserva ancora il sapore della sua unicità – ma dal respiro universale.
La sua personalissima incursione nel mondo del noir comincia con un racconto, “La condanna del sangue”, edito da Fandango, e dovrebbe terminare quest’anno con l’ultimo episodio della serie. Un romanzo lungo diviso in (attualmente) tre episodi, tre stagioni del Commissario Ricciardi, guidato nelle sue indagini dal Fatto, la facoltà di sentire le ultime parole di chi è morto di morte violenta. Tanti personaggi ma anche tante solitudini, tanti universi privati che interagiscono tra loro nella Napoli del Ventennio Fascista alle prese con i dolori di una vita lancinante, tremendamente reale. “Il Recensore” ha voluto rivolgere una serie di domande a Maurizio De Giovanni volutamente non incentrate sull’oggetto dei tre libri ma dirette a far conoscere uno scrittore e la sua linea di pensiero.
La “Trilogia” del Commissario Ricciardi (che prevede un ultimo lavoro) è una delle esperienze letterarie più interessanti degli ultimi anni. Ci vuole raccontare la sua genesi?
“Anzitutto ti ringrazio per l’attenzione e per questo bellissimo complimento. Vorrei poterti dire che Ricciardi è sempre stato dentro di me, che si è andato formando anno dopo anno insieme al suo autore e che la percezione del dolore, che ne costituisce la principale e più intensa caratteristica, proviene da qualche esperienza forte e personalissima. Non è così. Ricciardi nasce per caso, durante un concorso al quale ero stato iscritto da amici per scherzo, al Gambrinus guardando una bambina che attraversava la strada mentre ero in disperata ricerca di una qualche ispirazione. D’altra parte non è la lunghezza della genesi che qualifica una buona idea, no?”
I tre romanzi editi da Fandango sono anche una sorta di “saggio fotografico” sulla Napoli del Ventennio. Immagino che lei abbia fatto un’approfondita attività di ricerca per descriverla così minuziosamente o ci sono anche elementi di fantasia?
“No, tutto è frutto di un’attenta attività di ricerca, nella quale sono aiutato da alcuni amici insostituibili. La Napoli degli anni trenta è stata in qualche modo cancellata, come se l’evidenza dei fatti successivi e in primis la guerra abbia fatto in modo che la città rinunciasse alla memoria di sé in quegli anni. Ma nulla di quanto è scritto nei libri di Ricciardi con riferimenti alla storia e al costume dell’epoca è inventato, tutto è storicamente documentato anche se con molta difficoltà.”
Negli episodi del Commissario Ricciardi c’è sempre una bambina che ricopre un ruolo importante all’interno della vicenda. La ritroviamo nel “Senso del dolore” ma anche nel finale de “La condanna del sangue“. E’ un riferimento alla bambina del Gambrinus?
“Sì, è anche un omaggio a quella scintilla che fece venir fuori l’idea; ma più in generale Ricciardi e io condividiamo una profonda pietà e un immenso coinvolgimento per l’infanzia e per le sue vicende. I bambini allora come adesso sono l’anello debole, i destinatari di violenze morali e materiali inaudite alle quali sono esposti senza potersi difendere. Non c’è maggior dolore, non c’è ferita sociale più terribile di quella che viene dal destino dell’infanzia traviata.”
Come si fa a scrivere una buona storia senza cadere nell’esercizio di stile?
“Basta tenere costantemente presente che la storia vince sulla scrittura che è solo uno strumento. Basta ricordare il lettore, e il fatto che gli si sta raccontando una storia come se la si raccontasse la sera a cena alla propria famiglia, senza indulgere nell’ascoltare la propria voce. Dico spesso che meglio si scrive più è difficile produrre un buon noir; io, che sono piuttosto scadente come scrittore, sono avvantaggiato rispetto ad altri colleghi molto più bravi di me.”
Ne “La condanna del sangue” ho trovato vari importanti riferimenti letterari ma soprattutto la stessa atmosfera soffocante, ad un certo punto, di “Delitto e castigo” di Dostoevskij. Quanto sono importanti per lei le sensazioni, le emozioni scaturite da una lettura appassionante ai fini della redazione di un romanzo?
“Bisogna stare molto attenti a cosa si sta leggendo quando si comincia a scrivere; si rimane invariabilmente influenzati dallo stile altrui e si corre il rischio di imitarne le cadenze, anche inconsapevolmente. Essendo un anziano giovane scrittore, nel senso che ho esordito in tarda età, è chiaro che nella mia scrittura ci siano tutte le letture che ho metabolizzato nel corso dei lunghi anni di attività di lettore bulimico. E i romanzi migliori, quelli che hanno il maggior valore letterario, hanno lasciato i segni più profondi sulla mia anima come su quella di tutti.
Ci sono vari personaggi importanti nella Trilogia del Commissario Ricciardi, speculari tra loro ma, in un certo senso, sinergici. Hai già pensato come sarà il loro autunno? Come cambieranno i loro caratteri, le loro caratteristiche rispetto al primo romanzo della (futura) quadrilogia?”
“Non sono molto autonomo rispetto ai miei personaggi. Sembrerà assurdo a chi non scrive, ma i protagonisti dei romanzi spesso e volentieri scelgono le strade di testa loro, e al povero autore non resta che inseguirli per i percorsi che vogliono fare. In linea di massima l’autunno potrebbe portare avvenimenti molto importanti nelle storie dei singoli, scuotendo la rete dei rapporti affettivi in modo forse violento. Le caratteristiche e i caratteri cambieranno, come cambiano nella vita da una stagione all’altra le storie delle persone. E’ questo il bello per chi scrive raccontando la vita.”
Luigi Romolo Carrino, autore del bellissimo “Pozzoromolo“, in una conversazione privata, mi ha detto di trovare molte analogie tra la sua Napoli e la sua. E’ d’accordo?
“Mi rende molto felice che il mio amico Gigi, a mio modo di vedere il miglior scrittore napoletano attualmente in azione, veda analogie tra la sua meravigliosa Napoli visionaria, straziata e straziante e l’ambientazione dei miei racconti. Credo che l’analogia più evidente sia appunto nel dolore, una nota bassa e risonante che percorre i nostri modi innamorati e addolorati di raccontare la nostra terra; il sottofondo imprescindibile per chi scrive di questa città, a qualsiasi epoca ci si riferisca. Ringrazio Gigi, autore con “Acqua storta” e “Pozzoromolo” di due opere che rimarranno nell’anima di chi ha avuto la fortuna di leggerle. E ringrazio voi per avere avuto la pazienza di leggermi.”
Maurizio De Giovanni è nato nel 1958 a Napoli. Nel 2005 vince il premio nazionale “Tiro Rapido” e lo stesso soggetto vincitore del concorso diviene il protagonista de “Il senso del dolore” edito da Fandango e primo libro della quadrilogia, non ancora completa, sul Commissario Ricciardi. Oltre alla produzione di libri gialli, De Giovanni è autore di libri umoristici come “Le beffe della cena ovvero piccolo manuale dell’intrattenimento in piedi” e “Juve-Napoli 1-3. La presa di Torino”, divenuto anche un fortunato testo teatrale.