“Non mi propongo tanto di parlare al cuore del lettore, quanto al suo portafogli”. L’impostazione dell’ultimo libro di Riccardo Staglianò, “Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti” (Chiarelettere, 2010) è chiara fin dall’inizio: al di là di ogni posizione personale e politica sulle questioni della solidarietà, della fratellanza e dell’accoglienza allo straniero, accettare l’immigrazione oggi è una necessità improrogabile di tutta l’Europa.
E dell’Italia in particolare, che a causa dell’altissima età media rischia di far saltare i sistemi previdenziali e finanziari entro il 2050. Abbiamo rivolto all’autore alcune domande.
Non è un bel periodo per essere immigrati in Italia”: con questa affermazione netta apre il Suo libro. Com’è il presente italiano da Lei descritto?
“Molto fosco. Invece di ringraziare questi quasi 5 milioni di persone che fanno lavori indispensabili al funzionamento della nostra società e che noi non vogliamo più fare (non lo dico io, basta leggere l’ultimo rapporto sulle economie regionali della Banca d’Italia), rendiamo loro la vita sempre più difficile. Ad esempio con mostruosità giuridiche come il reato di clandestinità che ha come unico risultato di rendere gli irregolari totalmente ricattabili e di spingerli così nelle mani degli approfittatori e della criminalità.”
Sostiene che sul tema dell’immigrazione la destra e la sinistra non riescano a dialogare. Perché?
“Perché parlano due lingue irriducibilmente diverse. La sinistra fa appello a sentimenti alti, come la solidarietà e l’empatia. La destra invece a sentimenti molto concreti, come la paura. I primi però sono optional negli esseri umani, mentre la paura è di serie, ce l’hanno tutti, soprattutto in tempi di crisi. Quindi nessuna comunicazione, perché la solidarietà è come il coraggio di Don Abbondio, se uno non ce l’ha non se la può dare. Però andando avanti così, ognuno a parlare la sua lingua, non si va da nessuna parte. Io propongo una terza via. Che il centrosinistra cambi registro e invece di insistere sulla solidarietà cominci a parlare di cose concrete, dimostrando facilmente che senza gli immigrati saremmo – tutti, destra e sinistra – perduti.”
La Sua indagine si concentra sull’immigrazione come sostegno della nostra economia nazionale. Non crede che parlare di esseri umani come mera forza-lavoro rischi di falsare la prospettiva, facendo dimenticare che non si tratta di sole “risorse” umane ma anche di “soggetti” di diritti?
“No, non lo credo. Anzi penso che per uscire dalle secche in cui il dibattito politico ristagna da troppo tempo bisogna passare dal loro apporto economico. Perché se ci si rende conto che sono indispensabili bisognerà trattarli anche di conseguenza, riconoscendo i diritti che meritano come lavoratori, e quindi cittadini. Per chi l’avesse dimenticato ricordo infatti che, all’articolo 1 della Costituzione, la nostra è una repubblica fondata sul lavoro.”
Il libro è strutturato come una giornata italiana, scandita ogni ora dal diverso lavoro di uno straniero. Perché ha scelto questa forma?
“Perché dà un’idea molto plastica di come sono onnipresenti del nostro palinsesto esistenziale. E fa vedere bene, credo, come solo togliendo un tassello la giornata potrebbe andare a rotoli con un effetto domino incalcolabile. Se alle 8 non viene la babysitter i genitori non possono andare a lavoro, se nottetempo non sono passati gli addetti alle pulizie l’ufficio sarà impraticabile, se alle 13 i lavapiatti fanno sciopero non si potrà mangiare al ristorante e comunque, se alle 4 gli indiani che accudiscono le bufale non si svegliano, niente mozzarella. E così via.”
Per chiudere La invito a commentare un classico adagio popolare: “sono arrivati qui senza niente e gli abbiamo dato un posto di lavoro. Dovremmo anche dirgli ‘grazie’?”
“È il minimo che possiamo fare. Non gli abbiamo dato un posto di lavoro per filantropia, ma perché quel lavoro i nostri connazionali non lo volevano più fare – come spiega benissimo la Banca d’Italia – o perché loro lo facevano meglio e a un prezzo più basso. Gliel’abbiamo dato, in ogni caso, perché ci è convenuto darglielo. E se loro trovassero il coraggio per fare uno sciopero sul serio, non come l’1 marzo da noi ma come nel 2000 a Los Angeles quando, dopo tre settimane di astensione dal lavoro gli addetti alle pulizie ispanici hanno messo in ginocchio la città, portando a casa un aumento dello stipendio del 25% e 5 giorni di ferie in più all’anno, ecco, se succedese qualcosa del genere ci renderemmo conto nel modo più traumatico di quanto sono indispensabili. E di quanto converrebbe – prima ancora di essere giusto – trattarli bene e ringraziarli.”
Riccardo Staglianò è giornalista del quotidiano «la Repubblica». Nel 2001 ha vinto il premio Ischia di giornalismo, sezione giovani. È autore tra l’altro di Bill Gates. Una biografia non autorizzata (Feltrinelli, 2000) e L’impero dei falsi (Laterza, 2006). Per Chiarelettere ha pubblicato con Raffele Oriani I cinesi non muoiono mai (2008) e Little China, che accompagna l’omonimo documentario di Riccardo Cremona e Vincenzo De Cecco.
Autore: Riccardo Staglianò
Titolo: Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti
Editore: Chiarelettere
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 14,60 euro
Pagine: 224