“Accaio” (Rizzoli, 2010) è l’esordio letterario di Silvia Avallone. La ragazza bolognese realizza un romanzo forte, potente che inchioda il Belpaese verso la ricerca di se stesso. Nel dialogo con l’autrice i tratti essenziali del volume.
L’idea di scrivere un romanzo così disperato e cupo le è stata chiara sin dall’inizio della stesura o è andata formandosi gradualmente?
“Il fatto è che, a mio avviso, Acciaio non è affatto disperato, e tanto meno cupo. Il pezzo di mondo che ho tentato di rappresentare è sempre stato ai miei occhi pieno di vita e di forza. I quartieri simili a via Stalingrado hanno esercitato su di me molto più fascino dei palazzi eleganti al centro delle metropoli. Poi, che la realtà sia diversa dal paradiso, che esistano la povertà, le morti sul lavoro, la droga: questo mi sembra un dato di fatto che, per senso etico e civico, non andrebbe mai negato”.
Com’è nata l’idea per l’ambientazione del suo libro, perché associarvi delle aree industriali?
“Perché ho avuto modo di conoscere in prima persona molti giovani operai, e mi sono appassionata alle loro storie. Perché il gigante dello stabilimento Lucchini domina molte vite, e sta alla base della produzione e della trasformazione della materia. Ho voluto sfatare il mito della classe operaia che non esiste più, dei giovani che aspirano solo ai reality show. Esistono ancora i mestieri, e la maggior parte delle persone fatica per vivere.”
Cosa sono i giovani del suo romanzo, degli illusi, dei sognatori o che altro?
“Sono persone costrette a fare i conti con il lato nudo e crudo dell’esistenza. In questo senso, pretendono una felicità immediata, un’affermazione di vita gridata, in luogo di un ideale astratto di giustizia che fino ad oggi non si è mai avverato, e che addirittura ha perso rappresentanza politica.”
E gli adulti?
“A differenza dell’adolescenza, l’età adulta è – credo per chiunque – anche una resa dei conti. La vita non è più una potenzialità, bensì un tempo passato che non può essere modificato. Capita spesso che gli errori, i rimpianti, le occasioni mancate superino i momenti di gioia. Penso alle Operette morali di Leopardi: il succo amaro è sempre lo stesso. Gli adulti di Acciaio fanno i conti con il fatto che sussiste uno scarto tra la realizzazione dei desideri e il tempo.”
I giovani che descrive sono realistici o abitano solamente nel testo?
“Almeno nelle intenzioni, sono assolutamente realistici. Mi sono innamorata di loro, scrivendone, proprio per la loro realtà. A dispetto degli stereotipi spesso di moda, i giovani che vedo e che conosco non vivono in un mondo a sé stante, non sono creature altre dagli adulti. Hanno semplicemente un senso diverso del futuro: per loro la partita è ancora tutta da giocare. Poi, rispetto ad altri periodi storici, i giovani di Acciaio, che vivono nel XXI secolo, hanno meno sostegni, meno lavoro, meno ideali cui appoggiarsi. Probabilmente, sono più soli.”
Se sono reali, pensa che l’opinione pubblica ne sia consapevole oppure faccia finta di non vederli?
“Si preferisce sempre dare di se stessi un’immagine senza ombre e senza contraddizioni. Il problema è che la realtà è strutturalmente intessuta di ombre e di contraddizioni. Affrontarle è il solo modo per tentare di migliorare le cose. La letteratura da sempre, nella misura in cui non cerca voti né consensi né consumatori acritici, tenta di mettere in luce gli aspetti problematici, spinosi, temibili. Anche in questo, a mio avviso, consiste la sua carica etica.”
Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984 e vive a Bologna, dove si è laureata in filosofia. Questo è il suo primo romanzo.
Info: guarda il booktrailer
Autore: Silvia Avallone
Titolo: Acciaio
Editore: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 18 euro
Pagine: 357