Sembrerebbe una tipica saga che si snoda per decenni, “La fine degli ebrei” (Minimum fax, 2009) di Adam Mansbach. Sbagliato: il romanzo del 33enne ebreo americano, cresciuto a Boston, scrittore e appassionato di cultura e musica rap, fa sua la tradizione delle grandi storie familiari ebraiche e la rinnova, con testo classico ma anche moderno, che unisce linguaggio alto e basso, brillante ironia e profonda tristezza del tempo che passa. La cultura afroamericana e l’identità ebraica, in un affresco appassionante.
“La fine degli ebrei” è la storia della famiglia Brodsky, a partire dal capostipite Tristan, nato negli anni ’30 nella zona ebraica del Bronx. Considerato la giovane promessa della famiglia, il giovane Tristan viene lasciato libero di studiare e dedicarsi alla letteratura per assicurare a genitori e parenti un unanime riconoscimento tra gli ebrei del quartiere, e un posto nella storia. Ma il giovane va controcorrente: sarà sempre affascinato dalla cultura afroamericana, e troverà la propria vocazione tra le strade di Harlem e i locali jazz. Il romanzo, in un continuo andirivieni nel tempo, racconta un Tristan Brodsky prima adolescente, poi giovane scrittore di successo nei salotti buoni della società ebraica newyorchese dove conosce la futura moglie Amalia, e infine anziano ma ancora assetato di vita e di scrittura.
Parallele e intrecciate a quella di Tristan, le altre due grandi storie del romanzo: quella di Nina, bellissima fotografa ebrea cecoslovacca fuggita da Praga con una band di jazzisti neri prima della caduta del muro di Berlino, e ottiene con l’inganno una borsa di studio per studenti afroamericani. E quella di Tris, nipote di Tristan, aspirante scrittore che cerca di uscire dall’ombra ingombrante del nonno e al tempo stesso ne ricalca le orme, appassionandosi alla cultura rap degli afroamericani.
Ironico fin dal titolo, perfetto nello stile, “La fine degli ebrei” non è l’Olocausto ma la fine di un mondo, quello chiuso delle comunità ebraiche, e il confronto con altre fortissime minoranze come quella nera. È una profonda riflessione sul significato di identità e su come questo sia cambiata nel corso dell’ultimo secolo, ma anche su cosa significhi invecchiare, scontrarsi con i propri nonni, e vedere il fallimento di un matrimonio alla fine della vita.
Adam Mansbach, nato nel 1976, è autore di altri due romanzi, ancora inediti in Italia, e una raccolta di poesie. La sua attività si colloca da sempre all’incrocio fra scrittura e musica: negli anni Novanta ha fondato la rivista hip-hop Elementary, e come performer ha collaborato con diversi musicisti. Nel 2005, sotto lo pseudonimo di Kodiak Brinks, ha inciso un suo album, Stand for Nothing, Fall for Anything. Ora vive a Philadelpia e insegna scrittura creativa alla Rutgers University. “La fine degli ebrei” è stato indicato dal San Francisco Chronicle fra i migliori libri dell’anno e ha vinto il California Book Award.
Autore: Adam Mansbach
Titolo: La fine degli ebrei
Editore: minimum fax
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 16,50 euro
Pagine: 419