Finalmente esce “L’uomo verticale” (Fandango, 2010), l’attesissimo romanzo di Davide Longo, apprezzato autore di successi come “Un mattino a Irgalem” e “Il Mangiatore di pietre”. Un romanzo, delicato e forte al tempo stesso.
L’autore tratteggia l’Italia dei nostri giorni, un paese legato al proprio passato e che stenta nel guardare al futuro, ancorato da un presente forse troppo opprimente.
In un clima da racconto post-apocalittico – sulla scia di autori come Saramago e McCarthy, quello de La strada per intenderci – la realtà implode su se stessa e nel proprio abulismo di egoismi ed opulenze fino a creare realtà parallele, finzioni purtroppo possibili e ricercare percorsi salvifici da intraprendere necessariamente.
La provincia italiana apparentemente silenziosa ma quanto mai “astorica” e famelica si fa epicentro di un terremoto culturale – che ha radici ben più lontane e forse anche riscontrabili in fasi della nostra “storia d’Italia” ben precise – e di un clima a metà tra la rivoluzione e la guerra civile. Il passato felice del protagonista, Leonardo (ex-professore universitario innamorato della propria donna e del proprio percorso), è il passato felice di un paese alla deriva: ma gli amori, le relazioni, le motivazioni, i soldi finiscono e, in un turbinio di dubbi e di verità mai ascoltate, lo scorrere del tempo e della quotidianità diventa una morsa feroce da cui liberarsi
La lotta con e contro se stesso si riflette e si oppone alla lotta vera, quella armata: rapine, sopraffazioni, omicidi diventano il minimo comune denominatore di una deflagrazione senza precedenti. Parole che purtroppo abbiamo imparato a conoscere prendono nuova linfa, nuovi significati “pestiferi” da attribuire a significanti conosciuti per la cronaca di questi ultimi anni: ronde, assedi, spietatezza. Vertice estremo di un imbarbarimento – culturale e sociale, etico e morale, individuale e civile – questa guerra “intestina” fertile di paure (e di ignoranze) non durerà il tempo breve di una stagione di sommosse ma il logoramento degli anni.
Non resta che la fuga: è de una fuga dal mondo, dalle proprio radici, da se stesso. Il trionfo del male e dell’odio è sperimentato sulla pelle, anzi sotto, come la scabbia: andarsene per non marcire, per sopravvivere, per spiegare la propria esistenza su questa terra.
Longo avanza per metafore, descrive con forza il passaggio tra quello che siamo diventati e quello che saremo: supera ostacoli con chi sa destreggiarsi con la materia letteraria e con una lingua che diventa arma potentissima e, al tempo stesso, via d’evasione e di scampo. Un romanzo pregno di vita, di energia, di un furor artistico totalizzante: un romanzo che appartiene, di diritto, al significato più nobile che diamo alla letteratura.
Davide Longo è nato a Carmagnola nel 1971. Il suo primo romanzo Un mattino a Irgalem (Premio Grinzane opera prima e Premio Via Po) e il successivo Il Mangiatore di pietre (Premio Città di Bergamo e Premio Viadana) sono stati pubblicati da Marcos y Marcos. È insegnante, regista di documentari, autore di testi teatrali e radiofonici. I suoi libri d’arte e per bambini (Pirulin senza parole, E più non dimandare e La vita a un tratto) sono pubblicati dalle Edizioni Corraini. Nel 2007 ha curato per Einaudi l’antologia Racconti di montagna. Vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. I suoi libri sono tradotti in molti paesi.
Autore: Davide Longo
Titolo: L’uomo verticale
Editore: Fandango
Anno di pubblicazione: 2010
Prezzo: 18 euro
Pagine: 404