Ritratti di dolore quelli di Susanne Scholl in “Ragazze della guerra” (Voland, 2009). La giornalista austriaca racconta le storie di un popolo vittima di secoli di oppressione, esili forzati, torture e deportazioni. A cominciare da quella ordinata da Stalin nel ’44, in essere fino al ’57. In questo viaggio è aiutata da Eva, una donna piena di energia e speranza, che le offre una chiave di lettura delle tradizioni locali, difficili da comprendere per un’occidentale.
In Cecenia valgono infatti le leggi non scritte delle montagne: se un uomo vuole sposare una donna, prima la rapisce; una donna non può chiedere il divorzio; agli uomini è consentita la poligamia. Leggi che fanno strabuzzare gli occhi alla giornalista, ma che sono accettate dai ceceni, perché da loro è sempre stato così. Le tradizioni cecene sono fortemente radicate nel popolo, a nulla sono valsi i tentativi della Russia di indebolirle, anche attraverso lo strumento delle začistki, le pulizie, gli assalti organizzati ai singoli villaggi con il fine di uccidere, torturare e far sparire le persone. Alcune donne raccontano di aver tenuto nascosti i figli ormai maggiorenni, poiché dai diciotto anni vengono considerati terroristi.
È qui infatti il nodo di tutta la faccenda. Le due guerre cecene sono state considerate dalle autorità russe un’operazione antiterroristica. Lo stesso Putin dichiarò pubblicamente che avrebbe ucciso tutti i ceceni, anche a costo di “inseguirli al cesso“. Ecco che le donne raccontano le loro storie private, le scomparse dei loro cari dei quali presagiscono la morte, perché lo Stato li considera terroristi. I loro corpi non possono essere consegnati ai parenti, recita una nuova legge; ma spesso è il portafoglio dei parenti a decidere se il defunto è un terrorista o no.
Le donne cecene raccontano le loro storie con distacco, nota la giornalista. Un distacco necessario al dolore, che altrimenti spazzerebbe via quel che resta di una vita ormai sgretolata. Colpisce molto la solidarietà tra i ceceni: nei racconti di guerra le persone sono sempre pronte ad aiutarsi, a condividere le poche cose che si possiedono e a rischiare la vita per gli altri. Eva documenta quello che succede nel suo paese: spera che, divulgando quelle informazioni, le cose possano cambiare. Ha ripreso con una videocamera la scoperta di una fossa comune, i corpi massacrati dalle torture. Una volta vi ha riconosciuto un giovane che aveva incontrato poco tempo prima. Nonostante la disperazione, Eva continua il suo lavoro, perché deve informare, perché deve sperare.
Anche la giornalista Natalija Estemirova, accomunata ad Anna Politkovskaja non solo per l’attività documentaristica, ma anche per il tragico destino, si è battuta molto per i diritti civili, prima portando alla luce i lager-filtro nella prima guerra cecena, poi le brutali pulizie nei villaggi. Di nascosto riusciva a portare le videocassette a Mosca, nel tentativo di raccontare la Storia senza le strumentalizzazioni che avvertiva quando era a scuola, quando cioè le lezioni non combaciavano con i racconti del padre ceceno.
Un giorno Eva racconta una poesia: un vecchio è seduto sul ciglio della strada e piange; un angelo gli chiede il motivo e cerca di confortarlo, ma quando il vecchio gli dice di essere ceceno, anche l’angelo si mette a piangere.
Autore: Susanne Scholl
Titolo: Ragazze della guerra
Editore: Voland
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 14 euro
Pagine: 160