“Palace of the end” (Neo Edizioni, 2009) di Judith Thompson, è una pièce teatrale sull’ Iraq. L’autrice, molto conosciuta in Canada per le sue opere, sceglie una struttura basata sull’accostamento di tre monologhi, ciascuno dei quali presenta un diverso punto di vista: tre visioni particolari. Il monologo – “Le mie piramidi” – dedicato a Lynndie England, soldatessa americana resa famosa dalle foto in cui sevizia prigionieri nel carcere di Abu Ghraib.
E lo tiro… e mi ha sorpreso quanto il collo umano è diverso da quello dei cani. Con i cani puoi tirare forte e non vengono, non è così con gli uomini, quelli hanno il collo morbido. II monologo – “Harrowdown hill” ispirato a David Kelly, biologo inglese chiamato a dar prova dell’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq.
“Quando alla fine ho parlato, detto la verità, sapevo che stavo rischiando la mia vita. E ho sentito che ne valeva la pena. Accetto quel che è successo, capite?Accetto quel che è successo. Stamattina mi sono seduto sulla sedia e ho fatto una scelta. Ho scelto di smettere di combattere e che succedesse quello che doveva succedere. Ho capito che non mi avrebbero mai lasciato in pace. Ciò che avevo fatto, nelle loro menti, era alto tradimento. […]. Non mi avrebbero mai e poi mai lasciato in pace. L’unico modo per sconfiggerli era sparire. Capite? Essere presente, ma invisibile.” III monologo – “Gli strumenti della Bramosia” che vede protagonista Nehrjas Al Saffarh, attivista irachena, moglie di un quadro del partito comunista oppositore del regime di Saddam.
“[…] mi ricordo di una giovane donna che conosco. Un giorno fu presa per strada da alcuni ufficiali [iracheni] e stuprata molte, molte volte. Alla fine della giornata la buttarono fuori dalla macchina e la lasciarono sul ciglio della strada, in campagna. Lei si trascinò , piena di lividi e sanguinante, mezza nuda, e poco dopo una macchina con a bordo un uomo molto gentile in compagnia della sua famiglia si fermò. La moglie lo coprì e la portarono nella loro casa, che era nelle vicinanze. La moglie le preparò un bagno caldo e disse che avrebbero pensato loro a chiamare la sua famiglia mentre lei si lavava e si riposava. Mentre i bambini giovavano in casa l’uomo si introdusse in bagno e la violentò di nuovo. Lei non pianse perché non voleva imbarazzare coloro che l’avevano ospitata. Quando la sua famiglia arrivò, tutti ringraziarono quest’uomo molto generosamente, portandogli regali. La donna non poté dire niente.”
“Palace of the end”, con la forza del suo linguaggio, il rigore della rappresentazione, il suo opporre storie private alla Storia del mondo, raggiunge pienamente questo scopo. La Thompson, con stile crudo, intenso e preciso, dipinge come disumano tanto l’operato angloamericano quanto quello iracheno. Il suo sguardo diventa una testimonianza vivida e un’esortazione a capire che le origini del male possono essere lontane dai luoghi in cui solitamente ci ostiniamo a cercarle.
Judith Thompson, canadese, è docente di Teatro e Arte Drammatica presso l’Università di Guelph, in Ontario. Prolifica e riconosciuta autrice per il teatro, i suoi maggiori lavori, spesso costruiti per monologhi, conservano una grandissima forza letteraria. È considerata una delle più eminenti drammaturghe canadesi e la sua opera ha riscosso un successo internazionale. Tra i 12 maggiori testi pubblicati tra il 1980 ed il 2008, molti di questi hanno ricevuto premi e riconoscimenti. Sua la sceneggiatura di “Lost and Delirious“. Attualmente vive a Toronto con suo marito e i suoi cinque figli. Ad oggi le opere di Judith Thompson restano sconosciute in Italia.
Autore: Judith Thompson
Titolo: Palace of the end
Editore: Neo
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 11 euro
Pagine: 142