“La ragazza di Ratisbona” (Piemme, 2009) di Silvia Di Natale, vede come protagonista la diciottenne Barbara Blomberg, che inconsapevolmente entrerà a far parte della Storia. Nel 1546 nella città bavarese attraversata dal Danubio mentre lo scontro tra protestanti e cattolici è al culmine, tutti gli occhi dell’Europa sono puntati su Regensburg. Sta per arrivare Carlo V, Imperatore del Sacro Romano Impero che aprirà i lavori della Dieta (tag), l’assemblea che vede riuniti insieme l’Imperatore e i maggiori principi dell’Impero.
Mentre i lavori della Dieta imperiale (Reichstag) proseguono nel tentativo di dirimere l’annosa questione della lotta tra le due diverse fazioni religiose, divise anche nel modo di vestirsi “… trionfo di carminio, di porpora, di mantiglie foderate di pelliccia contrastava con l’austerità dei protestanti”, l’umile ragazza del popolo figlia del cinturaio Wolfgang e il grande Imperatore si incontrano nel palazzo dove lui è alloggiato. Da questo incontro la vita di Barbara cambierà per sempre, infatti a seguito di ciò si troverà costretta a compiere scelte difficili e dolorose. La scrittrice da anni residente a Ratisbona, ha ricostruito un’epoca ed un ambiente storico finora poco trattati, riportando alla luce la figura e la vita di Barbara Blomberg, la madre di Don Juan de Austria, figlio illegittimo di Carlo V, famoso per la carriera militare il cui culmine fu il comando della flotta della Lega Santa che vinse la battaglia di Lepanto del 1571. Interessante e coinvolgente è la ricostruzione storica di Regensburg con i suoi vicoli strettissimi «… i tetti aguzzi, le torri delle case signorili, quella del Comune con l’orologio, i campanili, quelli del Duomo, troppo corti e tozzi». Storia e romanzo si intrecciano in questo affresco perfettamente rievocato fin nei minimi dettagli di una stagione fondamentale del Rinascimento europeo.
Abbiamo intervistato l’autrice.
Signora di Natale, qual’era l’atmosfera che si respirava nella primavera del 1546 a Regensburg? A che punto era lo scontro tra cattolici e protestanti e perché viene considerata tanto importante la battaglia di Lepanto?
“La battaglia di Lepanto fu un successo soprattutto per la Spagna, nel XVI secolo una superpotenza: battuti i turchi non c’era più nazione che potesse essere di ostacolo alla sua espansione nel Mediterraneo. Ma non si tratta soltanto della sovranità navale: il problema fondamentale era quello della sicurezza dei traffici e della vita delle popolazioni costiere. Non c’era infatti paese al sicuro dalle scorrerie dei corsari saraceni, che piombavano a terra e facevano schiavi i cristiani. C’era allora un gran bisogno di braccia per fare andare avanti le galee e ognuno si arrangiava come poteva, incatenando ai remi i galeotti e i nemici (ma solo se di un’altra religione). Il significato della battaglia di Lepanto va però al di là dei vantaggi che ne trassero la Spagna e i paesi mediterranei. Già solo il fatto di essere riusciti a mettere insieme una lega cristiana rappresenta un trionfo diplomatico di tutto rispetto. Ma la vittoria ebbe un enorme valore simbolico: di fronte al nemico comune i cristiani, di fatto ormai irrimediabilmente divisi in più confessioni, sembrano aver miracolosamente ritrovato la consapevolezza di far parte di un’unica civiltà, opposta – e naturalmente, ai loro occhi, superiore – a quella musulmana. Per questo tutta l’Europa, da Roma all’Inghilterra, festeggia la vittoria del 7 ottobre 1571 come il trionfo della cristianità. Naturalmente l’unità cristiana è un’illusione: i francesi di nascosto occhieggiano con i turchi, mentre Venezia, che era stata molto restia a partecipare all’impresa si affretta a riprendere i suoi traffici con il sultano; i turchi, da parte loro, si danno subito da fare per prendersi la rivincita. Niente illustra meglio il significato della battaglia di Lepanto della statua di Juan De Austria (l’originale è a Messina, ma una copia è esposta a Ratisbona, non lontano dalla sala della Dieta): l’eroe, in mano lo scettro dell’ammiraglio (anche se a comandare la flotta cristiana in realtà non era lui, ma l’esperto Andrea Doria), poggia un piede sulla testa di un turco. Così piaceva – piace? – ai cristiani immaginarsi la loro superiorità sugli infedeli. Che quel gesto non sia inconsciamente rimasto nella memoria collettiva dell’Occidente?”
Quali letture consiglia a chi volesse approfondire questi avvenimenti?
“A chi ne volesse sapere di più sul rinascimento europeo, senza per questo sudare su pesanti libri di storia, consiglio due libri: Fernand Braudel: Civiltà materiale, economia e capitalismo (Einaudi 1982) e La battaglia di Lepanto di Jack Beeching (Bompiani 2000)”.
Narrando la storia della vita di Barbara Blomberg quale aspetto della sua personalità l’ha colpita maggiormente?
“Di Barbara in realtà non sappiamo nulla, neppure che aspetto avesse, non esiste infatti neppure un ritratto della madre dell’eroe di Lepanto. Ci sono però pervenute delle lettere di personaggi che avevano a che vedere con lei, i governatori spagnoli che a Bruxelles inutilmente tentarono di convincerla a lasciare la sua vita di vedova spensierata e a ritirarsi in un convento in Spagna. Barbara però non si lascia intimidire dà loro in continuazione del filo da torcere. Gli spagnoli reagiscono scandalizzati e si lamentano presso il re Filippo II. Quando mai si è visto che una vedova senza mezzi si opponga all’autorità in modo così sfacciato! «Se lei la conoscesse – scrive il duca d’Alba al re – e sapesse quant’è ostinata questa donna, capirebbe come non ci sia mezzo di convincerla». Sono bastate queste righe per conquistare la mia simpatia e reputare Barbara Blomberg degna di un romanzo. Il fatto che fosse stata l’amante occasionale dell’imperatore non mi sarebbe bastato”.
Molto bella è anche la figura di Caterina Koller che paga a caro prezzo il suo status di donna libera ed indipendente nella Ratisbona della metà del Cinquecento, ce ne vuole parlare?
“Caterina Koller è un personaggio che amo particolarmente. Tra lei e Barbara c’è forse la differenza di amore che va tra i figli propri e i figli, dovrei dire figlie, adottati. Mentre Barbara è un personaggio storico – e quindi dovevo attenermi ai dati che ci sono pervenuti – Caterina Koller è tutta mia e la potevo foggiare a mio piacimento e condurre dove volevo, pur nei limiti della cornice storica in cui l’ho messa e a cui neppure lei poteva sfuggire, se volevo che il personaggio fosse credibile. Qui sta infatti la differenza tra un libro di storia e un romanzo che si rifà alla storia o uno che vorrebbe rifarsi alla storia, ma è in realtà solo facciata storica e perciò in realtà kitsch. Per tornare a Caterina, non potevo attribuirle che una delle poche professioni che fossero allora concesse alle donne, quella della levatrice. Certo, la sua voglia di vivere la sua vita come le pare la rende un’eccezione, in un’epoca in cui per la stragrande maggioranza dell’umanità l’individuo di per sé non ha un valore al di là della sua connessione sociale. Caterina è un po’ diversa e infatti, come tutte le persone che non si allineano, si tira addosso la malignità dei vicini. Di sicuro è un’illusa: nessuno è arbitro del proprio destino, né allora, né oggi e paga un caro prezzo per la sua ingenuità, ma è non dimeno una donna coraggiosa e la fortuna la ricompensa. Chi ci dice che anche tra il popolo non siano esistite donne come lei? Non ne rimangono testimonianze, certo, ma la fantasia serve proprio a colmare le lacune della Storia”.
Possiamo dire che Barbara si prenderà una rivincita sulla Storia quando suo figlio uscirà vittorioso dalla battaglia di Lepanto?
“Non ne sono tanto sicura. A Barbara in realtà il figlio eroe porta più fastidi che onori. Se la sua posizione migliora quando Juan (io però nel libro ho sempre scritto Don Giovanni) viene riconosciuto ufficialmente come bastardo imperiale (non dimentichiamo che il termine “bastardo” nell’ambito della corte non era diffamatorio, tutt’altro) – e Barbara sa approfittarne con molta astuzia – la sua ascesa a eroe della Cristianità invece le nuoce. Il comportamento di Barbara, immorale agli occhi dei bigotti spagnoli, diventa incompatibile con il suo nuovo ruolo di madre dell’eroe di Lepanto. Quando poi il figlio viene nominato governatore dei Paesi Bassi, diventa addirittura suo rivale. Madre e figlio non possono convivere. Barbara è obbligata a cedere e gli lascia il campo, a certe condizioni, però… Di più non posso dire, se non voglio svelare troppo! La storia (maiuscola e minuscola) deve sempre riservare sorprese”.
Silvia di Natale scrittrice e sociologa, è nata a Genova nel 1951 ma si è trasferita in Germania nel 1975, prima a Monaco dove ha insegnato nei corsi per lavoratori italiani ed è stata assistente alla Cattedra di Sociologia dei paesi in via di sviluppo, poi a Ratisbona. Kuray, (Feltrinelli 2000) il suo romanzo d’esordio le è valso importanti riconoscimenti tra i quali il Premio Bagutta Opera Prima e Premio Donna Città di Roma 2000. Nel 2006 con L’ombra del cerro (Feltrinelli) ha vinto il Premio Grinzane Cavour 2006, il Premio Francesco Serantini 2007 ed è stata finalista al Premio Letterario Chianti 2007. Nel 2008 ha pubblicato Vicolo verde (Feltrinelli). La ragazza di Ratisbona è il suo primo romanzo storico ambientato nella sua terra d’adozione.
Autore: Silvia Di Natale
Titolo: La ragazza di Ratisbona
Editore: Piemme
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 20 euro
Pagine: 560
L’Autrice ignora che La battaglia di Lepanto di Jack Beeching (Bompiani 2000)non è che un romanzo e, come tale, non è in grado di fornire approfondimenti di sorta.
Non corrisponde alla realtà che: “(anche se a comandare la flotta cristiana in realtà non era lui, ma l’esperto Andrea Doria”): Andrea Doria era morto da 11 anni e il Doria presente a Lepanto, Gian Andrea, era un suo nipote. In realtà la flotta era comandata da un “comitato” formato da Sebastiano Venier, Marc Antonio Colonna, Don Alvaro de Bazan e Gian Andrea Doria” sotto la presidenza nominale di Don Juan.
Ringrazio il gentile lettore (della recensione, non del mio libro) per la precisazione, mi trovo però un po’ a disagio con il suo tono supponente, di chi gongola tutto nell’aver trovato un errore nel testo altrui. Ma questo “errore”, se mai lo fosse, non inficia minimamente il valore del romanzo. Il gentile lettore evidentemente ignora la differenza tra un romanzo – che non è una disquisizione storica – e un saggio di storia. Che differenza fa, per la mia storia, intendo, che a comandare la flotta cristiana fosse Il Doria vecchio o un suo nipote? Andrea Doria viene appena nominato. La battaglia di Lepanto nella mia storia ha importanza soltanto perché è un momento fondamentale nella sua vita di Barbara Blomberg. Il commento del gentile lettore esperto in storia sul libro di Jack Beeching è del tutto superfluo, oltre che sfacciato nei miei confronti: lo so benissimo che è romanzato, nondimeno è un libro che descrive la storia in maniera istruttiva e allo stesso tempo piacevole, perciò lo consiglio a dei lettori che storici non sono. Vorrei inoltre far presente al sapiente lettore di recensioni che il suo commento assomiglia a quello di chi critichi una statua di marmo dicendo che il mignolo del piede sinistro è un po’ storto. Oppure, se preferisce la pittura, a chi critichi Guernica senza aver visto il quadro, solo perché gli hanno detto che non assomiglia del tutto alla verità storica. Lo stesso vale per un romanzo.