“Il giorno in cui mia figlia impazzì” (Rizzoli, 2009) di Michael Greenberg è una storia vera, una testimonianza viva e commovente del viaggio di un padre nella follia della propria figlia. È il 5 luglio del 1996, quando Sally, quindici anni, perde definitivamente il contatto con la realtà, dopo un non ben visibile processo emozionale, e viene ricoverata, delirante e alienata persino a se stessa, nel reparto psichiatrico di un grande ospedale di New York.
È solo allora che il padre, scrittore e giornalista freelance, comincia a prendere gradualmente coscienza dell’abisso emotivo in cui è precipitata la figlia, persa in quella sua ossessiva volontà di esprimere un universo interiore, tanto vivo quanto terribilmente straziato. Prima l’impatto con quello che può essere definito una sorta di ghetto moderno in cui vivono larve umane, per lo più giovani di estrema intelligenza e sensibilità; poi le difficoltà del malato nella quotidianità e l’indifferenza della gente “normale”; fino al gesto estremo con il quale il padre arriva addirittura ad assumere le medicine della figlia per sperimentare fino in fondo una realtà così apparentemente lontana.
L’analisi che viene fuori da questo viaggio all’inferno è una decisa, anche se talvolta idealizzata, visione della malattia oggi chiamata psicosi maniaco-depressiva o disturbo bipolare: “Tutti a un certo punto temiamo che «il nostro» mondo o «il» mondo siano alienati senza speranza. La psicosi è il concretizzarsi di quella paura“. L’autore, spinto da disperato amore paterno, viviseziona gli istanti della vita di Sally, giungendo persino a mitizzare aspetti di una malattia che ha accomunato uomini e donne del passato, nei quali si è spesso identificata la figura del genio creativo.
Così, alla testimonianza diretta, Greenberg annette, con discreto risultato per lo svolgimento della narrazione, brevi aneddoti relativi a personaggi illustri che hanno avuto a che fare, in modo drammatico, con le proprie psicosi e ossessioni. In questo modo, veniamo a conoscenza della sofferta solitudine di Joyce, perso dietro alla malattia mentale della figlia Lucia, o delle manie che caratterizzarono l’intera esistenza del poeta Robert Lowell, o ancora del suicidio di Margaux Hemingway, nipote del celebre scrittore, anch’egli morto suicida con un colpo di fucile alla testa.
“Il giorno in cui mia figlia impazzì” ha ottenuto, meritatamente, un enorme successo negli Stati Uniti, suscitando grande entusiasmo di critica e pubblico e diventando uno dei più grandi casi editoriali dell’anno. Una testimonianza vera e toccante per andare oltre, per comprendere cosa sia realmente oggi il fenomeno, ancora poco conosciuto, delle malattie mentali.
Michael Greenberg è nato e vive a New York. Dal 2003 scrive per il supplemento letterario del «Times». È autore di numerosi saggi di critica letteraria, romanzi e libri di viaggio.
Voto: 7,5
Autore: Michael Greenberg
Titolo: Il giorno in cui mia figlia impazzì
Editore: Rizzoli
Anno di pubblicazione: 2009
Prezzo: 16 euro
Pagine: 205
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