Nella prefazione di “Lontani da qui” (Rizzoli, 2009), Ettore Mo ci racconta di questo suo primo viaggio in Afghanistan. In quel viaggio nacque un affetto particolare, tra il giornalista e quel paese. Predilezione che lo portò a ritornarci parecchie volte, a renderlo argomento di almeno tre libri, e a diventare un amico personale del comandante Massoud, assassinato probabilmente da Al-Qaeda il giorno antecedente all’attacco delle Twin Towers. WEB/Il mestiere del reporter, incontro con Ettore Mo
Oggi Ettore Mo è un giornalista pluripremiato, con una numerosa bibliografia, anche se principalmente formata dalle raccolte dei suoi articoli. Quest’ultimo testo non si differenzia, e racconta di dieci paesi sparsi per il mondo, corrispondenti a dieci guerre, a dieci dolori. La lettura scorre per la piacevolezza della prosa dell’autore, anche se spesso il coinvolgimento è tale che bisogna fermarsi, prima di procedere, per accettare la dura realtà di quanto il mondo possa essere crudele. Dalle favelas di Caracas alla paura di Kabul, dal dramma innominabile della Liberia fino alla nube de La Oroya, cittadina avvolta da un’apocalittica polvere di piombo, zinco, zolfo e arsenico emessa dalla “fonderia della morte”, questi sono i piccoli grandi orrori che Ettore Mo ci racconta da trent’anni, da quel lontano 1979, in cui è arrivato a Kabul.
Ma la parte che per noi oggi assume il maggior rilievo, il sassolino che Ettore Mo si è voluto togliere, invecchiando in quest’Italia meschina, lo si trova nella conclusione. Qui il vecchio leone, che ha visto il dolore e la morte intorno a se, ci ricorda che in questa sofferenza si trova il perché di questo mondo perduto che in realtà non è ‘lontano da qui’, ma bussa alle nostre porte. A Lampedusa, in Sardegna, in Spagna, in Sicilia, ovunque possa attraccare un barcone, una zattera carica di profughi.
Quasi in un simbolico passaggio di consegne Ettore Mo cita “Bilal” il reportage di Fabrizio Gatti, giornalista che si è travestito da immigrato ed è entrato clandestinamente in Italia, partendo dal Niger ed attraverso la Libia. Come il vecchio reporter entrava in Afghanistan clandestinamente, di notte, per sfuggire ai sovietici prima, ed ai taliban poi.
L’unica strada per concludere dignitosamente questo triste percorso, sembra dirci Ettore Mo, non può essere altro che nella poesia, e, proprio nelle ultime righe, ricorda dei versi di Alda Merini, ma ammettendo subito dopo che la poesia stessa è solo sogno, illusione, “e così’ migliaia di uomini sono colati a picco, in fondo al mare“.
Ettore Mo è nato a Borgomanero (No) il 1° aprile 1931. Decano degli inviati speciali, ha pubblicato migliaia di articoli e numerosi libri. Autorità sull’Afghanistan ha comunque portato il suo lavoro – ed a noi la sua testimonianza – da moltissime località del sud del mondo. per vent’anni inviato speciale del “Corriere della sera” ha avuto il privilegio di essere testimone di molte tra le guerre e le tragedie che hanno funestato il tramonto del secolo scorso. Ettore Mo fu assunto al Corriere nel 1962, dopo anni di vagabondaggio e di lavoro occasionale. Nel 1979, all’età di quarantasette anni, dopo aver lavorato come critico musicale e sportivo per quindici anni, fu inviato nell’Iran della rivoluzione Khomenista e – poco dopo – nell’Afghanistan dell’invasione sovietica. Dopo la scomparsa di Tiziano Terzani, Ettore Mo probabilmente è rimasto l’ultimo rappresentante di un giornalismo sul campo che vede il suo simbolo nella figura dell’inviato speciale, o del reporter.
Voto: 8
Autore: Ettore Mo
Titolo: Lontani da qui. Storie di ordinario dolore dalla periferia del mondo
Editore: Rizzoli
Prezzo: 17 euro
Pagine: 173