Trent’anni di guerra tv e dalla rottura del monopolio Rai. Conflitto d’interessi, futuro della televisione, nuove tecnologie nel libro di Franco Debenedetti e Antonio Pilati “La guerra dei 30 anni, politica e televisione in Italia” (Einaudi, 2009). Alla presentazione di Milano, giorni fa, botta e risposta tra Fedele Confalonieri e Walter Veltroni. Quattro quesiti referendari, diciotto sentenze della Corte costituzionale, crisi di governo: per 30 anni, la questione televisiva si è intrecciata con le vicende politiche italiane.
Non è successo in nessun altro Paese occidentale; in nessuno il proprietario di quasi metà dei canali televisivi nazionali si presenta alle elezioni cinque volte in quattordici anni, per tre volte le vince e diventa capo del Governo. Più di trent’anni è durata la «guerra» televisiva. Le sue radici affondano nella critica all’industria culturale. Le sue battaglie sono state parte di un gioco che aveva per posta l’assetto politico del Paese: gli anni Ottanta, l’ascesa del Cavaliere, il formarsi dell’Ulivo e la sua fine con la caduta del Governo Prodi, le leggi Maccanico, Gasparri e Gentiloni, la travagliata esistenza del Pd, il naturale alternarsi dei cicli politici. E, ora, siamo nei giorni scuri in cui alcuni potrebbero perdere fiducia nel futuro del capitalismo.
Da trent’anni la questione televisiva ingombra la scena politica italiana. Può essere piantata come bandiera dell’opposizione al centrodestra berlusconiano. Oppure può essere studiata per capire le cause delle tante anomalie italiane, di cui fa parte.
“Il sistema informativo – ha detto Veltroni – non è fondato sull’autonomia. Il sistema è fatto da televisioni private, di cui è proprietario il presidente del Consiglio, e televisioni pubbliche, i cui vertici sono nominati dal presidente del Consiglio”. Non si è fatta attendere la risposta di Confalonieri. “Nessuno può negare – ha spiegato – che ci sia il conflitto di interessi. Ma ci sono persone che ogni cinque anni se ne fregano e lo votano. E’ un paese di cretini?». Secondo Veltroni, però, «non è il voto che consente di fare qualsiasi cosa. E’ un’idea sbagliata dal punto di vista della democrazia“. Il presidente di Mediaset ha replicato che con questa affermazione insulta gli 8mila giornalisti italiani. “Io i giornalisti li difendo – ha risposto l’esponente del Pd – ma esiste il problema che si sente un po’ una cappa di piombo in tv”. Poi, a chi gli ha chiesto se ritenga possibile trovare una soluzione al conflitto d’interessi, Veltroni ha risposto “sì” e, parlando dell’autonomia del sistema, ha sottolineato “che non si può essere giocatori e arbitri. Se le regole sono fissate da un giocatore, la partita è falsata“.
Ritornando al tema della guerra mediatica Confalonieri ha affermato: “La concorrenza è finita perché la tecnologia ha spostato il campo. Oggi c’è la tv digitale, il satellite, internet ma ci vogliono delle nuove regole dettate soprattutto dalla tecnologia. Inoltre -ha proseguito- c’è Murdoch che è l’editore più forte del mondo, ha i più grandi giornali del mondo e ha capito prima di tutti cosa fosse la pay tv. Il futuro è questo e bisognerà attrezzarsi, assecondare la tecnologia senza però dimenticare che prima di tutto ci sono i contenuti“.
Veltroni ha sottolineato come vi sia però una lettura particolare che va in un’unica direzione in questo passaggio complesso della televisione, un passaggio, ha detto che “si sta configurando con un pensiero unico. Mi rendo conto di quanto potesse essere dura nel periodo della egemonia del centrosinistra per gli esponenti di destra e oggi ci troviamo nella situazione opposta. Detto questo però dal punto di vista del paese la rottura del monopolio televisivo è stato un fatto positivo perché le tv locali sono state una grande ricchezza“.
Antonio Pilati (Milano 1947), componente dell’Autorità garante della Concorrenza e del mercato. Già direttore dell’Istituto di economia dei Media della Fondazione Rosselli. Ha pubblicato Il legame spezzato. Cittadini e politica (Ideazione Editrice, Roma 2003), La fabbrica delle idee (Baskerville, Bologna 2000) e ha curato Economia della conoscenza (il Mulino, Bologna 2005). Per Einaudi ha pubblicato, con Franco Debenedetti, La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia 1975-2008 (2009).
Franco Debenedetti (Torino 1933), ingegnere, trentacinque anni nell’industria (Cir, Fiat, Olivetti), poi senatore con il centrosinistra per tre legislature. Ha pubblicato Sappia la Destra (Baldini Castoldi Dalai, Milano 2001), Grazie Silvio (Mondadori, Milano 2006), Quarantacinque percento (Rubbettino, Soveria Mannelli 2007) e ha curato Non basta dire No (Mondadori, Milano 2002). Scrive su diversi giornali italiani. Per Einaudi ha pubblicato, con Antonio Pilati, La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia 1975-2008 (2009).