“Pietrafredda” (Perdisa editore, 2009) di Stefano Di Marino è una sceneggiatura. Il passaggio dalla narrazione al visivo è immediato. Lo scrittore, oltre che un pluridecorato autore di noir e thriller, è un esperto cinefilo. Chance Renard, personaggio del libro, parla in prima persona, in totale sintonia – di modi e di intenti – con l’autore stesso. Di Marino scrive la storia de Il professionista (nom de plume di Chance Renard) da circa quindici anni, e Pietrafredda è la chiave di volta, il fulcro di un’opera, il senso di questo lavoro.
In poco più di cento pagine Di Marino taglia trasversalmente tutta la sua vita, con un’opera di pulizia mentale senza pari.
Chance Renard, il professionista, vive la sua nuova avventura. In una Parigi che sembra molto Los Angeles, cerca un uomo, e cerca la sua vendetta. Arabi, vietnamiti, serbi, cinesi, senegalesi, italiani: la Parigi di Stefano di Marino – autore sotto lo pseudonimo di Stephen Gunn del personaggio di Chance Renard – è multietnica all’ennesima potenza, ma non manca di mostrarci, ad ogni angolo di strada, un ricordo, o un messaggio, della città che tanto ha rappresentato nella storia del cinema e della letteratura.
Pietrafredda è ascetico, monastico. Non lo si comprende se lo si interpreta come un thriller. Il padre fuggito di Chance Renard lo ritroviamo in un vecchio fumetto di Magnus, ovvero Unknown, Lo Sconosciuto. Negli anni settanta Lo sconosciuto ha smazzato le carte dei vari James Bond e di tutti gli agenti segreti in giacca e cravatta, anticomunisti e figli del dio denaro (con in più quantitativi industriali di alcool e di figa).
Unknown è un nipote di Sandokan e di Corto Maltese: è un pirata bastardo, cinico e senza ideali, ma che a fatica sopporta le ingiustizie, quando queste sono figlie di scorrettezze, del mancato rispetto di certe regole che comunque, anche tra uomini senza dio bisogna rispettare. Chance Renard è un’erede di questa stirpe.
Questa Parigi è la Malesia di Sandokan, ed anche lui si circonda di amici e compadres: uomini in fuga, a volte inseguiti, persone il cui passato sarebbe meglio non conoscere. Ed è in questo ambiente maudits che Chance Renard insegue la sua vendetta, nei confronti di chi ha ucciso la sua donna.
Storia banale, certamente non nuova, ma Di Marino la svolge con un tale pulizia interiore che ogni parola lancia scintille, nel suo stato, come un diamante grezzo. Lo studio delle arti marziali è una ricerca spirituale, e la pulizia interiore è un modo – potremmo dire – per personalizzare l’editing. Ogni parola è quella giusta al posto giusto. Non una di più, non una di meno. Così come il movimento in un kata. Così come le azioni di Chance Renard, al posto giusto nel momento giusto. O almeno, quello dovrebbe essere il senso dell’agire, ma quella di Chance Renard è meditazione senza oggetto, un agire senza scopo, perché in fondo anche la vendetta è una scusa, una scusa per continuare ad essere se stessi, per continuare ad essere vivi.