Jeffery Deaver e il suo ultimo thriller “I corpi lasciati indietro” (Rizzoli, 2009). Affiancato dal traduttore Seba Pezzani, l’autore americano ha risposto alle domande dell’autrice Giuliana Manganelli che qui riportiamo.
In qualità di autore di numerosi Best Seller, cosa può dire agli aspiranti scrittori?
“Quando devo scrivere una storia, mi chiudo in una stanza, chiudo gli occhi e la storia mi passa davanti: i personaggi prendono vita e il libro nasce da se. Scrivere un libro è una cosa che faccio molto velocemente: c’è una fase preliminare in cui creo l’idea, e la storia prende vita. Parte di quello che faccio è lavoro e impegno ma, grazie alla mia forte immaginazione, ma mi riesce con facilità e amo questo lavoro.”
Ha qualche trucco del mestiere da svelarci, ci sono degli autori a cui s’ispira? Se sì in che modo?
“Mi sono accostato ad altri autori, li ho studiati, riprendendo la storia. Rivedendo questi modelli ho scritto i miei romanzi. Secondo me non esistono scrittori, ma solo ri-scrittori di storie. Si parte da un plot e si ristruttura in modo nuovo per arrivare ad un nuovo romanzo. Ad esempio, un ingegnere della Fiat o della Maserati non si sveglia un giorno e decide di creare un nuovo modello di macchina, ma analizzerà e studierà prima le caratteristiche delle auto di altre case automobilistiche concorrenti, e partendo da questo modello cercherà di migliorarlo. Vi chiederete perché paragono un libro ad una macchina. Questi sono solo esempi, ma non sono molto diversi essendo entrambi prodotti di consumo creati per un pubblico.”
“Il consumatore che sceglie il nostro prodotto “libro” vuole essere eccitato da quello che acquista, nella stessa maniera in cui un prodotto di consumo “macchina” deve essere accattivante e soddisfare i bisogni dell’acquirente. Io, in qualità di produttore di beni di consumo, devo scrivere delle storie che possano attirare il mio pubblico. Ho scritto molti libri e ne ho venduti circa cinque milioni. Il mio pubblico da me si aspetta un certo tipo di storia. Se dovessi allontanarmi da questa linea i miei lettori potrebbero non essere contenti e allontanarsi da me. Lo scrittore deve sempre vedere il proprio lavoro come la creazione di un prodotto per il mercato e deve sempre fare attenzione seguire certe linee guida.”
Lei utilizza spesso la tecnica del cliffhanger, si sofferma a lungo nella descrizione di un singolo, cruciale momento. Non trova difficile rendere credibile e realistico un romanzo che necessiti sempre di un livello di tensione elevato senza risultare rocambolesco agli occhi del lettore?
“Non è una cosa difficile, l’autore deve chiedersi cosa spingerebbe il suo lettore a voltare pagina. Posso portare come esempio l’inizio di una storia: “Uscì da casa a Genova e saltò sulla sua nuova auto in direzione Torino senza sapere che non sarebbe mai arrivato vivo a destinazione…” Perché mai il lettore dovrebbe continuare a leggere il libro se sa’ già come va a finire la storia? Si potrebbe invece dire: “Uscì di casa, salì sul sedile anteriore della sua nuova auto e si mise in viaggio, direzione Torino, sentendo per la prima volta una strana vibrazione della leva del cambio, ma noncurante decise di continuare ad alta velocità…” Un inizio di questo tipo mantiene alto il livello di suspense e porta il lettore a farsi delle domande, vuole sapere come va a finire la storia: farà un incidente? sarà vivo, morirà? Questo è un solo un esempio delle molte tecniche utilizzabili, ma ce ne sono molte altre”.”
Un’altra scelta narrativa spesso presente nei suoi romanzi come “In Nero a Manhattan” o nel suo ultimo libro “I corpi lasciati indietro”, è quella di porre i protagonisti in una situazione iniziale di grande calma, nell’agio di un contesto a loro familiare. Perché questa scelta?
“Le mie storie iniziano descrivendo un contesto tranquillo dove cerco di mettere il lettore in armonia con il personaggio. Lo stato di calma, viene poi stravolto da un evento improvviso e negativo che lascia il lettore scioccato. Più è la tranquillità che viene trasmessa al lettore, più sarà brusco ed emozionante il successivo cambiamento. Un elemento che ricorre in tutti i miei romanzi, a volte nella testa del killer, a volte in quella dei personaggi, è il fato. Per me il fato è qualcosa che modifica le circostanze nel bene o nel male. Mi piace giocare con questo elemento e amo fargli ricoprire un ruolo usandolo a diversi livelli della scrittura. Ad esempio, nel mio ultimo libro Il ruolo giocato dal fato è incrociato perché domina sia le vicende delle fuggitive Brynn McKenzie e Michell, sia quella degli inseguitori, soprattutto quando questi si trovano ad avere un conflitto”.
Il suo primo libro con protagonista Lincoln Ryhme, “Il collezionista di Ossa“, ha avuto un seguito cinematografico di grande successo. Questa trasposizione filmica è stata riempita di scene cruente e sanguinose, mentre nel romanzo le stesse scene erano state descritte in modo da garantire un minore impatto emotivo. Lei ha trovato il film coerente con la sua storia, la trasposizione a film le è piaciuta o l’ha turbata?
“Le persone pensano che scriva storie violente, in realtà non è cosi. La versione cinematografica era molto diversa dal libro, come spesso accade con i film. Questo perché il cinema ha la necessità di mostrare scene violente; é più facile creare tensione tramite una scena cruenta piuttosto che attraverso l’intreccio e i colpi di scena.”
Si può individuare nella sua produzione una piccola trilogia composta da “profondo blu”, “la finestra rotta” e “pari e dispari”, in cui l’uso dello spazio virtuale ha un ruolo fondamentale. Come mai ha deciso di far arrivar il pericolo dal mondo immateriale del web?
“Spaventarvi è il mio lavoro. 15 anni fa il web non rientrava nella vita quotidiana delle persone e utilizzare la rete come fonte di pericolo non sarebbe stata una scelta efficace, perché incompresa. Ho anche scritto un altro libro che non è ancora uscito che parla degli spazi virtuali come Myspace, Facebook, in cui viene toccato il tema del bullismo online. Ad oggi credo di aver già sviscerato abbastanza il mondo della rete e penso non tornerò più su quest’argomento.”
Jeffery Deaver è nato nel 1950 a Chicago. Ex cantante folk, ex giornalista, ex avvocato, ha abbandonato la carriera legale per dedicarsi alla scrittura. Ha all’attivo 22 romanzi – bestseller internazionali tradotti in 35 lingue – disponibili in BUR. Ha venduto nel mondo oltre 20 milioni di copie con titoli come L’uomo scomparso, La dodicesima carta, Il collezionista di ossa, da cui è stato tratto l’omonimo film con Denzel Washington nei panni del criminologo Lincoln Rhyme. Il suo sito è http://www.jefferydeaver.com/