Un uomo si innamora di una ragazza conosciuta su una corriera.
La trama dell’ultimo libro di Tullio Avoledo, può tranquillamente essere riassunta così. Quello che è difficile riassumere in poche parole, è il susseguirsi di sensazioni che la scrittura di Avoledo riesce a regalare al lettore durante il cammino di quell’amore raccontato ne “La ragazza di Vajont” (Einaudi, 2008), ultima fatica letteraria dell’autore friulano. Tra le macerie di una società post-bellica che vive in un’ucronica Italia del nord, si muovono i personaggi di questa storia. Un uomo che vive, o meglio, sopravvive dopo essere stato uno dei responsabili del disfacimento sociale del paese e una ragazza che gli coinvolgerà il cuore in una storia improbabile per il tempo in cui stanno vivendo.
L’uomo senza nome dovrà provare a mettere vari rammendi alla sua vita ormai allo sfacelo, e nella ragazza incontrerà un ulteriore problema che non gli renderà di certo le cose più facili. Sarà l’incoscienza o l’amore a fargli prendere decisioni drastiche? Oppure entrambi fanno parte di un destino più grande di loro? L’autore gioca con il tempo creando una società ormai allo stremo, reduce da guerre e votata ad una perenne insoddisfazione. Un’aura di tristezza avvolge i personaggi del libro, ma in questa tristezza l’autore riesce a far calare una sorta di “neve letteraria”, qualcosa che copre e che rende tutto più ovattato. Le vicende vengono raccontate con una delicatezza tale, una dolcezza nelle parole che a volte l’atmosfera rarefatta e post-bellica si stempera e nasconde l’angoscia vissuta dai protagonisti. I loro dialoghi brevi sembrano trasmettere l’inverno friulano in cui l’uomo senza nome e la ragazza si muovono e vivono. Le strade grigie, le città distrutte costruiscono un paesaggio freddo dove le storie che si incrociano non aiutano a rendere migliore il futuro della popolazione reduce. Ormai il disfattismo regna tra le macerie, causate da un’imprecisata guerra. L’uomo senza nome si barcamena tra un’esistenza votata alla sopravvivenza sociale e i medici che dovrebbero curarlo da non si sa bene che malattia. Tutto riconduce ad un “prima” di cui si vede solo lo strascico e di cui non si conoscono bene le cause.
La memoria gioca un ruolo fondamentale in tutto questo. La memoria stracciata del protagonista, i pochi brandelli che cerca di ricomporre grazie all’aiuto (?) dei medici che lo hanno in cura. La memoria che trasuda dal paesaggio in cui è ambientata la storia. La memoria della ragazza, una memoria “in corso d’opera” a cui il protagonista capirà di dovere qualcosa. Avoledo torna a giocare con il futuro e il passato, racconta una storia immersa nella neve friulana, una malinconia onnipresente pervade le parole e le rende leggere, come neve appunto. E proprio leggeri come neve, i pensieri del protagonista accompagnano il lettore in un percorso introspettivo tale, da arrivare a sentire la tristezza per le scelte fatte ma soprattutto per quelle non fatte dall’uomo senza nome in una terra che, in alcuni momenti, assomiglia troppo alla nostra.
Tullio Avoledo è nato nel 1957 a Valvasone, in Friuli. Vive a Pordenone, dove lavora presso l’ufficio legale di una banca. Ha pubblicato tre romanzi per Sironi Editore: L’elenco telefonico di Atlantide (2003), che ha vinto il premio «Forte Village-Montblanc», Mare di Bering (2003), Lo stato dell’unione (2005). I primi due titoli sono disponibili nei Tascabili Einaudi. Presso Einaudi sono inoltre usciti i romanzi Tre sono le cose misteriose (2005, premio Super Grinzane Cavour 2006), Breve storia di lunghi tradimenti (2007 e 2008) e La ragazza di Vajont (2008).