“Il mio obiettivo era rivisitare questi soggetti tradizionali in chiave moderna, dimostrando allo stesso tempo che il decostruttivismo e il postmodernismo avevano torto nel dichiarare morto l’autore, impossibile l’amore, e superflua la letteratura romanzesca”.
Così ha dichiarato Jeffrey Eugenides, autore de La trama del matrimonio, e del resto non poteva essere altrimenti visto che la sua narrativa recupera forme del passato non come farebbero romanzieri al tutto postmoderni ma esibendo una fiducia illimitata dunque persino eccessiva verso certo racconto tradizionale fatto di personaggi, descrizioni fisiche e caratteriali, congrue genealogie, di trama – va da sé – Middlesex se la prendeva così comoda nella sua acribia descrittiva da risultare per paradosso meno leggibile di quanto l’autore non pensasse (fino alla noia). Così, per chi volesse sorvolare sulle decine di pagine che raccontano rapidamente ma forse con un eccesso di severità che rischia il macchiettismo, il mondo della critica universitaria, degli studenti coartati al verbo semiotico prima e decostruzionista poi (con qualche arbitraria confusione, va detto, per un lettore non abbastanza addentro a certe cose, se è vero che mettere insieme Eco e Derrida significa averli pregiudizialmente confusi in partenza), potrebbe siffatto lettore percorrere the marriage plot ingenuamente, come la Bovary a suo tempo irrisa da Flaubert e vedere un po’ come si sviluppa e va poi a finire un classico fra i classici: il menage à trois di lui-lei-lui.
Nondimeno rischierebbe di non cogliere un senso più sottile del libro nel confronto fra “ingenuità” della trama amorosa ottocentesca (Austen su tutte: ma sarà poi vero?) e dissoluzione della stessa (non tanto in un presunto neo-canone del ‘900: ciò che resta di leggibile, e non è poco, nel secolo passato sono libri che “raccontano”, in altra maniera, ma raccontano), nella messa in scena di una battaglia fra una rinnovata speranza nell’amore (sebbene la Bovary di turno qui sia decisamente più attrezzata dell’originale: lei i libri li legge, con essi si emoziona, ma cerca di capirli, di studiarli, seppure con un approccio direbbero i suoi professori e gli studenti suoi amici, di “retroguardia”) e il caustico disincanto di chi vive solo nel linguaggio. Gli indimenticati Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes diventano così il centro in cui la battaglia può avere luogo: vertice ironico di un intellettualismo che smonta attraverso i topoi del racconto d’amore la sua stessa liceità sociale oppure rivendicazione vitale di una bellezza dell’anacronismo.
Se nella trama si è vista una qualche contiguità con Libertà dell’amico Franzen, nel personaggio di Leonard, la maggior parte dei lettori di mestiere, a partire dalla critica del New York Times, Michiko Kakutani, hanno intravisto il mai troppo compianto Foster Wallace – non proprio un suo amico come hanno frettolosamente scritto alcuni giornali. Eugenides ha negato recisamente che la depressione anaffettiva, la genialità e il corredo di stramberie, bandana compresa, di Leonard adombrassero l’autore di Infinite Jest. Caso mai il romanziere aveva in testa Axl Rose, il cantante dei Guns N’ Roses. Certo il ragazzo non ne esce benissimo.
Comunque sia, raccontare Eugenides sa raccontare. Il suo è un romanzo colto ma molto pop. Le concessioni a un gusto più facile (nella protagonista per esempio non mancano certi stereotipi del “femminino”) fanno il paio con la fluida costruzione di trama e personaggi, l’agevole scambio degli intervalli temporali e l’efficacia dei dialoghi. Che ci dica qualcosa di nuovo, apra al romanzo stesso un orizzonte possibile, questo è un altro discorso.
Autore: Jeffrey Eugenides
Titolo: La trama del matrimonio
Editore: Mondadori
Traduzione di Katia bagnoli
Pagine: 478
Prezzo: 20 euro