Isabelle Caro, corpo scavato dall’anoressia reso icona da Oliviero Toscani nella discussa campagna pubblicitaria, ha presentato a Milano “La ragazza che non voleva crescere” (Cairo editore, 2009), per dare una testimonianza forte.
In sala ad ascoltarla un pubblico soprattutto femminile, tra cui donne guarite solo di recente dalla bulimia e alcune ancora vittime della patologia. Quando Isabelle Caro le vede entrare, il suo volto è turbato: forse si domanda quanto le foto di Toscani abbiano spinto a ripugnare l’anoressia o se non siano piuttosto servite a renderla una beniamina di chi si sente giudicata per la scelta di non alimentarsi. Di sicuro questo è il pensiero di Fabiola De Clercq, fondatrice dell’ABA, associazione per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la bulimia e i disordini alimentari, nonché acerrima nemica di Toscani, chiamata per discutere del libro.
Secondo la De Clercq il manifesto che ha dato la celebrità a Isabelle è solo il sintomo della spregiudicatezza di una società pronta a ridurre chiunque e qualunque cosa ad un’immagine dotata della giusta aggressività per colpire il numero più alto possibile di persone e farne così dei consumatori. Tuttavia rimane anche il fatto che quella campagna pubblicitaria riaprì il dibattito sull’anoressia, troppo spesso dimenticata da una società capace di concentrarsi solo su poche problematiche alla volta. Fabiola De Clercq rimprovera, inoltre, la stessa Caro di essere complice della propria malattia, utilizzandola per attirare su di sé l’attenzione: “L’anoressia è un appello“, dice, “Consiste nel rendersi invisibili per essere visti. L’anoressico angoscia gli altri con il proprio aspetto emaciato, assicurandosi così di essere notato. La malattia nasce infatti dalla fame, fame di tutto: affetto, relazioni, attenzione“.
Alle critiche Isabelle Caro non oppone alcuna difesa: la testa china ora su un lato, ora sull’altro, ascolta paziente e di tanto in tanto annuisce, facendo ondeggiare il viso corroso non solo dall’anoressia, ma anche da interventi di chirurgia estetica evidentemente eccessivi. Poi schiude le labbra e con un francese appena sussurrato ammette: “Con le foto di Toscani ho voluto lanciare un grido per provocare una reazione nel mio padre biologico che non ha mai voluto accettarmi“.
La storia. La bambina non può uscire di casa se non di rado e coperta da strati di sciarpe, non può giocare con gli altri bambini e non può andare a scuola: rimane segregata per anni in casa sotto la gelosissima custodia di una madre, che, tuttavia, non ha cuore che per l’uomo che ha perduto. Isabelle sogna di avere per sé quella venerazione e, nella sua ingenuità infantile, si convince di poterla ottenere assecondando ogni desiderio materno. Un giorno, pesata e misurata in ospedale, legge del disappunto nel volto della madre e, mortificata, pensa di porvi rimedio smettendo di alimentarsi.
A questo episodio Isabelle Caro fa risalire l’inizio della sua malattia, la quale diviene suo malgrado la vera protagonista d’un libro nato in realtà proprio dal bisogno di togliere protagonismo alla patologia e rivelare la persona che vive dietro di essa.
Ma ormai la Caro è entrata in un circolo vizioso. In sala in molti si domandano quanto può desiderare di guarire dall’anoressia una ragazza che proprio con l’anoressia ha conosciuto il successo. “Quando Oliviero Toscani mi ha proposto il servizio fotografico ero contenta di aiutarlo, perché credevo nel valore della sua iniziativa. Le sue foto hanno aiutato a parlare di una malattia che spesso è tabù e di cui non si parla abbastanza. Ma oggi“, confessa, “esiterei ad accettare, perché quella campagna pubblicitaria mi ha reso la vita difficile. Le persone di me vedono solo la malattia. Ed è una cosa vergognosa“.
“Ero arrivata a pesare 25 chili. Dopo l’incontro con Toscani ho raggiunto i trenta chili e oggi sono arrivata a pesarne 40. Ormai sento come un dovere la guarigione. Ho troppa attenzione su di me e ho paura di deludere tante persone che vedono in me un esempio e una speranza.” Scatta l’applauso generale, ma le domande la spingono a non allontanarsi dal tema dell’anoressia. Isabelle accetta paziente e parla della moda“.
Ora che ha terminato questo processo di analisi della propria vita, le domandiamo se ha attenzione anche per il futuro, se ha dei progetti che le diano la giusta voglia di vivere. Isabelle si diletta in molte arti, ma la sua risposta è tutta dedicata al teatro. Lì concentra le sue aspettative più felici e, tuttavia, sembra temere di parlarne senza il riparo dell’anoressia: ci dice che il teatro è l’attività migliore per imparare ad amare il proprio corpo e dunque anche un’ottima cura per la sua malattia. Spera così che la sua associazione Horizons Théatre acquisti presto un supporto medico e divenga luogo ideale per l’accoglienza di chi soffre di anoressia.
Del resto è lecito chiedersi quante persone presenti in sala sarebbero effettivamente venute ad ascoltarla se non si fosse accompagnata alla vera celebrità, la sua alleata di sempre: l’anoressia.